Innanzitutto vogliamo ringraziare gli autori dei DIECI racconti giunti al concorso SMART WRITING. Per un blog giovane, con soli 7 mesi di vita, credo sia un grosso risultato.
Date la vostra preferenza qui a fianco...
Nella sezione RUBRICHE, alla voce SMART WRITING, potete leggere i racconti.
VOTATE IL VOSTRO PREFERITO!!!!
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giovedì 27 aprile 2017
lunedì 24 aprile 2017
NINA LA BAMBINA DELLA SESTA LUNA
Ahimé, è finita la saga di Nina, la bambina della Sesta Luna. La magica penna di Moony Witcher ha scritto la parola FINE alle avventure della giovane alchimista e dei suoi quattro amici e devo ammettere che, giunto all'ultima pagina sono stato colto da una sensazione di malinconia.
Considerando la mia età, non posso dire di essere cresciuto leggendo i sette volumi della serie ma mi hanno tenuto compagnia dal 2002 fino ad ora. QUINDICI ANNI... MICA MALE!!!
Cosa dire?
Ci sarebbe davvero tantissimo da elencare:
oggetti magici, pozioni di ogni genere, mondi paralleli, animali fantastici, fantasmi buoni e malvagi. In Nina c'è davvero di tutto un po', senza tralasciare i meravigliosi viaggi nel tempo e nello spazio. Un'ulteriore attrattiva è costituita dall'ambientazione principale della storia: il fascino indiscusso di Venezia, la città più bella e romantica del mondo, è un'ingrediente 'reale' sapientemente miscelato al frutto della fantasia geniale della scrittrice.
Come ho scritto in precedenza i volumi sono sette:
- La bambina della Sesta Luna.
- Nina e il Mistero dell'Ottava Nora.
- Nina e la Maledizione del Serpente Piumato.
- Nina e l'occhio Segreto di Atlantide.
- Nina e il Numero Aureo.
- Nina e il potere dell'Absinthium.
- Nina e l'arca della luce.
La serie è divisa in due parti.
La prima è composta da quattro libri in cui Nina e i suoi amici devono ricercare i quattro arcani per liberare i pensieri dei bambini. Gli altri tre, invece, sono incentrati sulla ricerca dei numeri che compongono il Numero Aureo.
Non voglio aggiungere altro tranne consigliare questa saga a chiunque ami il genere fantasy... quindi correte in libreria ad acquistare il primo volume di Nina. Sappiatemi dire!!!
Considerando la mia età, non posso dire di essere cresciuto leggendo i sette volumi della serie ma mi hanno tenuto compagnia dal 2002 fino ad ora. QUINDICI ANNI... MICA MALE!!!
Cosa dire?
Ci sarebbe davvero tantissimo da elencare:
oggetti magici, pozioni di ogni genere, mondi paralleli, animali fantastici, fantasmi buoni e malvagi. In Nina c'è davvero di tutto un po', senza tralasciare i meravigliosi viaggi nel tempo e nello spazio. Un'ulteriore attrattiva è costituita dall'ambientazione principale della storia: il fascino indiscusso di Venezia, la città più bella e romantica del mondo, è un'ingrediente 'reale' sapientemente miscelato al frutto della fantasia geniale della scrittrice.
Come ho scritto in precedenza i volumi sono sette:
- La bambina della Sesta Luna.
- Nina e il Mistero dell'Ottava Nora.
- Nina e la Maledizione del Serpente Piumato.
- Nina e l'occhio Segreto di Atlantide.
- Nina e il Numero Aureo.
- Nina e il potere dell'Absinthium.
- Nina e l'arca della luce.
La serie è divisa in due parti.
La prima è composta da quattro libri in cui Nina e i suoi amici devono ricercare i quattro arcani per liberare i pensieri dei bambini. Gli altri tre, invece, sono incentrati sulla ricerca dei numeri che compongono il Numero Aureo.
Non voglio aggiungere altro tranne consigliare questa saga a chiunque ami il genere fantasy... quindi correte in libreria ad acquistare il primo volume di Nina. Sappiatemi dire!!!
martedì 18 aprile 2017
LA STRADA VERSO ME
DECIMO ED ULTIMO RACCONTO DEL CONCORSO SMART WRITING.
DALLA PROSSIMA SETTIMANA SI INIZIA CON LE VOTAZIONI.
SIETE PRONTI A VOTARE IL VOSTRO PREFERITO?
La fede per me è una convinzione non precostituita, la mia
mente è aperta al confronto e rifiuta
verità surrogate rese assolute nel tempo ,il mio cuore ama, ma batte forte solo
per emozioni non cristallizzate, ogni giorno mi sfido e percorro la strada , quella
più difficile, quella dove razionale e irrazionale si incrociano. Eppure cerco
costantemente il punto di equilibrio essenziale per non cadere in limitanti
eccessi e spesso mi perdo, l’invisibile da una parte mi
attrae ma la logica si oppone e grida per portarmi da lei, a volte vado poi
torno, ma cerco sempre di restare aggrappata a quel punto che in fin dei conti,
non è su nessuna strada ma solo dentro di me.
giovedì 13 aprile 2017
CONCORSO DI POESIA
REGOLAMENTO
1^ EDIZIONE CONCORSO DI POESIA
“MARIA VIRGINIA FABRONI”
1) Tema di questa edizione: “VITA CAMPESTRE”
2) Concorso di poesie inedite (per inedito si intende non essere stato pubblicato da nessun editore).
3) Sono ammesse al concorso poesie in lingua italiana, presentate da autori cittadini italiani e stranieri che abbiano compiuto il diciottesimo anno.
4) Ogni autore potrà inviare un massimo di n. 3 poesie.
5)La modalità di partecipazione al concorso è gratuita.
6) Tutte le opere dovranno essere ispirate al tema “VITA CAMPESTRE ”.
7 ) Tutte le opere dovranno essere inviate entro il 31 MAGGIO 2017.
8) Il testo, senza firma e la scheda di partecipazione, corredata dei dati identificativi dell'autore (nome, cognome, età, professione, indirizzo, n. telefonico e-mail), dovranno pervenire preferibilmente via e-mail all’indirizzo premiomvfabroni@gmail.com (in formato testo sottoforma di: .doc, .pdf, .jpg, ecc..) o con spedizione postale o consegna diretta in numero copie UNO in busta chiusa, a Municipio di Tredozio – via Martiri, 1 – 47019 Tredozio (FC), citando in oggetto o nel frontespizio della busta il titolo “Concorso di poesia Maria Virginia Fabroni 2017”.
9) Le poesie presentate saranno valutate ad insindacabile giudizio da una giuria che sarà nominata dal sindaco con propria determinazione, dopo la scadenza di presentazione delle poesie e sarà composta dallo stesso Sindaco o suo delegato e da uomini e donne della cultura letteraria. La composizione della giuria verrà resa nota, attraverso i canali ufficiali.
10) L’opera vincitrice verrà riprodotta su un apposito muro, indicato dall’amministrazione comunale; ai primi tre classificati saranno consegnati attestati con motivazione. Tutte le poesie meritevoli verranno pubblicate su un volumetto celebrativo dell'edizione.
11) La premiazione avrà luogo a Tredozio in data da definirsi. Ai vincitori sarà data comunicazione telefonica. In caso di assenza, il vincitore ha facoltà di delegare un suo incaricato per presenziare all'evento.
12) Gli autori rimangono pienamente in possesso dei diritti relativi ai testi con cui intendono partecipare al concorso. Accettano, altresì, di concedere a titolo gratuito e senza nulla pretendere i diritti di esecuzione, riproduzione e pubblica diffusione delle opere presentate. Inoltre gli autori accettano di concedere a titolo gratuito e senza nulla pretendere i diritti di pubblicazione, distribuzione e vendita delle opere presentate, in realizzazione al volumetto celebrativo.
Per poter partecipare è necessaria l’autorizzazione al trattamento dei dati personali. Il/la partecipante è inoltre totalmente responsabile della veridicità dei dati comunicati, dell’autenticità e paternità dell’opera.
13) Le opere non verranno restituite e l’organizzazione declina ogni responsabilità in caso di smarrimento.
IL TERMINE PER L’INVIO E’ IL
31 maggio 2017
Per ulteriori informazioni premiomvfabroni@gmail.com
1^ EDIZIONE CONCORSO DI POESIA
“MARIA VIRGINIA FABRONI”
1) Tema di questa edizione: “VITA CAMPESTRE”
2) Concorso di poesie inedite (per inedito si intende non essere stato pubblicato da nessun editore).
3) Sono ammesse al concorso poesie in lingua italiana, presentate da autori cittadini italiani e stranieri che abbiano compiuto il diciottesimo anno.
4) Ogni autore potrà inviare un massimo di n. 3 poesie.
5)La modalità di partecipazione al concorso è gratuita.
6) Tutte le opere dovranno essere ispirate al tema “VITA CAMPESTRE ”.
7 ) Tutte le opere dovranno essere inviate entro il 31 MAGGIO 2017.
8) Il testo, senza firma e la scheda di partecipazione, corredata dei dati identificativi dell'autore (nome, cognome, età, professione, indirizzo, n. telefonico e-mail), dovranno pervenire preferibilmente via e-mail all’indirizzo premiomvfabroni@gmail.com (in formato testo sottoforma di: .doc, .pdf, .jpg, ecc..) o con spedizione postale o consegna diretta in numero copie UNO in busta chiusa, a Municipio di Tredozio – via Martiri, 1 – 47019 Tredozio (FC), citando in oggetto o nel frontespizio della busta il titolo “Concorso di poesia Maria Virginia Fabroni 2017”.
9) Le poesie presentate saranno valutate ad insindacabile giudizio da una giuria che sarà nominata dal sindaco con propria determinazione, dopo la scadenza di presentazione delle poesie e sarà composta dallo stesso Sindaco o suo delegato e da uomini e donne della cultura letteraria. La composizione della giuria verrà resa nota, attraverso i canali ufficiali.
10) L’opera vincitrice verrà riprodotta su un apposito muro, indicato dall’amministrazione comunale; ai primi tre classificati saranno consegnati attestati con motivazione. Tutte le poesie meritevoli verranno pubblicate su un volumetto celebrativo dell'edizione.
11) La premiazione avrà luogo a Tredozio in data da definirsi. Ai vincitori sarà data comunicazione telefonica. In caso di assenza, il vincitore ha facoltà di delegare un suo incaricato per presenziare all'evento.
12) Gli autori rimangono pienamente in possesso dei diritti relativi ai testi con cui intendono partecipare al concorso. Accettano, altresì, di concedere a titolo gratuito e senza nulla pretendere i diritti di esecuzione, riproduzione e pubblica diffusione delle opere presentate. Inoltre gli autori accettano di concedere a titolo gratuito e senza nulla pretendere i diritti di pubblicazione, distribuzione e vendita delle opere presentate, in realizzazione al volumetto celebrativo.
Per poter partecipare è necessaria l’autorizzazione al trattamento dei dati personali. Il/la partecipante è inoltre totalmente responsabile della veridicità dei dati comunicati, dell’autenticità e paternità dell’opera.
13) Le opere non verranno restituite e l’organizzazione declina ogni responsabilità in caso di smarrimento.
IL TERMINE PER L’INVIO E’ IL
31 maggio 2017
Per ulteriori informazioni premiomvfabroni@gmail.com
LA MIA ROMA
NONO RACCONTO DEL CONCORSO SMART WRITING.
PRESTO SARETE CHIAMATI A GIUDICARE QUELLO CHE PREFERITE
Mia nonna paterna per me non c’è mai stata, non mi ha mai
fatto da nonna. Sarà perché a 19 anni era già vedova e in attesa di un figlio,
certo è che era una donna particolare.
Nella vita si è sposata 5 volte, e quando stava morendo
raccontava a tutti che il suo peggior difetto era di essere stata molto amata;
avrebbe voluto avere un uomo anche nell’ultimo periodo della sua vita ma gli
uomini, a parte approfittarsi di lei non hanno fatto granchè. Quando è morta,
nonna era poverissima, perché aveva sperperato tutto il patrimonio nei viaggi,
e al gioco; nonna fumava le sigarette, le MS dorate light, e mi raccontava che
aveva praticamente visto tutto il mondo.
Da giovane nonna era una gran bella signora, e quando
conobbe un tenente pilota si innamorò a prima vista: chi li ha conosciuti
racconta che i miei nonni da giovani fossero bellissimi, mio nonno non era
indifferente al fascino delle donne, in primis lei; ma quando lui, che aveva
dieci anni di più, la mise incinta, il mio bisnonno lo obbligò a sposarsi per
riparare al danno.
E così i miei nonni si sposarono, con la nonna felicissima
che nelle foto stringeva a braccetto il pilota, che intanto pensava già alla
prossima missione; e infatti i nonni rimasero sposati pochissimo, sei mesi che
lui passò lontano a fare voli di pace, e intanto nonna a casa col pancione.
Poi lui morì, a nonna divennero i capelli bianchi a
diciannove anni e pianse tutte le lacrime del mondo.
Due anni dopo la nonna sposava un medico, non prima d’aver
affidato il bimbo ai suoi genitori perché lo crescessero, e non interferisse
col suo matrimonio.
Pochi anni ancora e nacque mio zio: la nonna credeva di
amare finalmente e nuovamente a fondo, ma di lì a poco il matrimonio naufragò.
Nonna a distanza di anni diede a mio padre la colpa del
fallimento, in quanto avrebbe interferito con la felicità della nuova famiglia:
e sì che era solo un bambino!
La separazione fu indolore, dato che piangendo lagrime amare
nonna ottenne l’annullamento del matrimonio da parte della Sacra Rota, con suo padre
che testimoniava circa la sua condotta illibata: per quella figlia sfortunata
l’ingegnere avrebbe fatto questo ed altro!
Nonna si consolò quasi subito con un generale della seconda
guerra mondiale, anche lui molto impegnato sul lavoro; lui venne trasferito a
Roma e la nonna, in memoria di quel marito libertino che troppo presto l’aveva
lasciata vedova, seguì il generale e approdò nella città eterna.
Da lì mi scriveva lunghe lettere chiamandomi “la sua
gattona” e invitandomi presto a raggiungerla; ma quando fui sufficientemente
grande per farlo, lei fece capire che non sarei stata sua ospite e così mamma
si accodò a me; d’altronde la nonna aveva le sue abitudini, tipo alzarsi alle
undici e leggere il giornale che nessuno doveva aver sfogliato prima di lei, o
lei avrebbe perso interesse alla lettura.
Nel pomeriggio, dopo una lunga colazione e un pranzo leggero
ma accompagnato da buon vino, la nonna poteva ricevere la sua nipotina adorata.
In quei dieci giorni a Roma vidi la nonna un paio di volte,
in fondo era tanto impegnata con le amiche; e poi tra la scopa e il bridge e la
messa della domenica aveva il suo da fare!
In una di queste uscite la nonna si fece portare dalla nuora
nella sua casa a san Felice Circeo: pensai che avrei potuto finalmente assaggiare
uno di quei tre piatti che la nonna sapeva cucinare in modo eccellente (e con
cui si racconta abbia acchiappato diversi uomini) ma ci disse cortesemente che
eravamo invitate al ristorante; poi scoprimmo che il conto era addebitato alla
nuora.
Mia madre non disse nulla per non rovinare i rapporti tra
figlio e madre… si portò a casa anche per ricordo la grande bavaglia che la
nonna ci fece acquistare per gustare la zuppa di pesce.
Questo ricordo di mia nonna e poco altro, perché l’ho vista
pochissimo quando era una donna prestante; quando invece divenne vecchia e
aveva problemi di salute, allora mi invitò più volte a Roma a trovarla e ad
assisterla.
Mia nonna fu così testarda che non volle mai fare la terapia
riabilitativa dopo essersi rotta il femore, diceva che le facevano troppo male
le gambe; l’unica volta in cui praticamente scattò in piedi durante la terapia,
fu quando le mandarono un infermiere uomo: in quella occasione fu lesta nel
chiedere “non ho le forze, mi tiene?” “Non tema” rispose lui, e lei si era già
lasciata andare tra le sue braccia in modo tanto fulmineo che mi lasciò di
stucco; l’infermiere non era certo un bell’uomo, ma in quell’occasione capii
come mia nonna avesse avuto molte storie.
In quel periodo trascorremmo il natale tutti insieme, suo
figlio la era venuta a trovare portandole un grosso torrone; e quando nel
giorno di festa lui propose di aprirlo, lei fu lesta ad afferrarlo e a dire:
“no, è mio!”
In quel periodo era già sulla sedia a rotelle, perché la
gamba si era atrofizzata e poi si era formata una pustola che si era allargata
fino a costringerla a tagliarla; inutilmente le spiegai che ostinandosi nel
rifiutare la riabilitazione gliel’avrebbero amputata, ma lei mi credette solo a
cose fatte.
E così io mi trovai ad assisterla senza una gamba e con su
il pannolone: e in quella situazione poco aveva di quella bellissima donna del
passato che tanto aveva fatto girare la testa.
L’ultimo barlume di dignità lo ebbe nel rifiutare il lettino
con le sbarre, tentando di ingannarmi: “senti, tu che sei piccolina nel lettino
con le sbarre ci stai bene, io invece non sto comoda”, non accorgendosi che la
malattia l’aveva parecchio ristretta.
Iniziai un nuovo lavoro e fu un sollievo tornare in
primavera nella mia città, lasciando la visione di lei senza una gamba lì a
Roma; ma cuore di nipote mi portò a trascorrere lì le vacanze estive; e la
rividi, sempre più magra e deperita; e con l’ultima trovata, si era
intestardita a non mangiare, dicendo che faticava, e così veniva alimentata
quasi esclusivamente con pappette liquide.
Ricordo una notte accanto a lei, chiacchierava con persone
invisibili e diceva che li avrebbe raggiunti presto: pensai che stava parlando
con gli Angeli.
E infatti ebbe il cuore di morire il giorno di ferragosto,
lo presi come un regalo: avevo trascorso buona parte delle mie ferie impazzendo
accanto al suo capezzale, ed uscendo dalla sua stanza solo per andare dal
medico a richiedere nuove terapie o in farmacia.
Ebbi il terrore che morisse la notte mentre le dormivo
accanto, e invece si sentì male e fu portata in ospedale: ricordo il suo ultimo
sguardo che rivolse solo a me; mia zia le stava dicendo che sarebbe guarita
presto, e intanto mia nonna mi guardava in silenzio come a dirmi addio.
E in quel momento ripensai a tutte le conversazioni notturne
che avevamo avute: mi chiedeva sempre di mia mamma, morta troppo presto; in
quell’ultimo periodo la faceva stare bene parlare di quella nuora che aveva
sempre trovato antipatica.
Le dissi: “stai tranquilla nonna, andrà tutto bene”, e vidi
nei suoi occhi che aveva letto in me che pensavo sarebbe andata in Paradiso; mi
guardò con amore infinito, per la prima volta nella sua vita.
E fu portata via, con me che restavo lì a sentire il medico
farfugliare a mia zia che sì, sarebbe potuta campare altri cinque anni… e io
sapevo che non ci sarebbe stata più, ora che ci eravamo trovate.
Morì il giorno dopo, sola, in ospedale, mezz’ora dopo che
mia zia l’aveva salutata, convinta che si sarebbe ripresa presto; e penso che
anche per questo ora sia in Paradiso.
Al suo funerale una zia dalla faccia sconvolta mi disse:
“vedrai che la nonna ti starà vicino, nell’ultimo periodo ha imparato a volerti
bene!”
Alle volte quando sono in giro per Bergamo dove lei ha
vissuto solo pochi mesi con mio nonno, una signora nella folla mi guarda, e
mentre sento un brivido percorrermi la schiena, in quel volto sconosciuto
rivedo il sorriso di mia nonna Luisa. Quello degli ultimi tempi.
domenica 9 aprile 2017
AI BOSCIARQI NON LA SI FA
di
Lorenzo
Bosi
Melissa
la giraffa fuoriuscì alla massima velocità da casa Bosciarqi. Gli zoccoli dell’animale scivolavano sull’asfalto e, nelle curve repentine, il carico che portava in groppa rischiava ogni volta una rovinosa caduta a terra. Ma Amaranda e
Abien si tenevano ben stretti.
Cosa spaventava così tanto la nostra povera Malissa? Vi starete chiedendo più preoccupati che mai.
“Dai
Melly, vai più veloce! Dobbiamo impedire che taglino quel povero albero”, la
incitò Amaranda.
Eccoci rivelata la ragione di quella corsa precipitosa. Tranquilli. Nessun leone le stava alle calcagna.
“Cara,
non ti distrarre. Non vorrei che tu cadessi”, si raccomandò Abien.
L’uomo
era praticamente seduto sulla testa della moglie e aggrappato al collo della
giraffa.
Attraversare
Freudaccio non fu affatto facile. Il momento più tragicomico arrivò quando Melissa ebbe un faccia a
faccia con l'autobus n 5. Il povero autista si ritrovò il muso dell’animale stampato
sul parabrezza. Niente di grave... Dopo la chiassosa inchiodata e le grida dei passeggeri, il maestoso animale tornò a galoppare per le vie della cittadina.
Quando
giunsero al luogo indicato, non ne poteva più. La povera bestia aveva la lunga lingua a
penzoloni.
Lì, una nutrita folla di concittadini era assembrata davanti ad un grosso albero.
Nello scendere dalla groppa, Amaranda rimbalzò al suolo come una palla.
Nello scendere dalla groppa, Amaranda rimbalzò al suolo come una palla.
“Signor
sindaco, anche lei è qui?”, si affrettò a domandare.
“Miei
carissimi amici Bosciarqi”, li accolse Mino con un sorriso falso come una
banconota da 25 Euro. “Vi stavo proprio aspettando”.
“Cosa
sta succedendo? Chi vuole abbattere quel povero albero?”, domandò Abien,
cercando di superare il volume della folla che stava lanciando slogan ad alta
voce.
“NON
ABBATTIAMO GLI ALBERI” “GLI ALBERI SONO VITA” “NOI SIAMO CON LA NATURA” “PIU’
VERDE-MENO CEMENTO”
Riprodotti
anche su grandi cartelli.
Qualche
manifestante inveiva in maniera minacciosa contro i due operai armati di
motosega.
Il
sindaco prese sottobraccio i coniugi e li condusse lontano dalla calca.
“Miei
cari amici, solo voi potete aiutarmi a risolvere questo problema”
“In
che modo?”, domandò Amaranda.
“Non
basta che lei ordini di bloccare l’abbattimento?”
Proprio
in quel momento, giunsero anche Arame e Alaja, con Liptolo in braccio.
“Cosa
ci fate qui?”
“Mamma,
noi vogliamo impedire che uccidano questo povero albero”.
“Arame
ha ragione”, gli fece eco la sorella. Poi rivolse uno sguardo di fuoco al
sindaco. “Perché non ordini di bloccare quegli assassini?”, domandò, indicato
gli operai.
“Non
è così semplice, piccoli cari”, iniziò a spiegare l’uomo. “Quel grosso albero è
gravemente ammalato. Il tronco è completamente cavo e la pianta rischia di cadere. Per questo motivo la prefettura mi ha dato ordine di abbatterlo. Io non ho
nessun potere”. Mino sembrava sul punto di piangere.
Peccato
non avesse intrapreso la carriera da attore. Avrebbe certamente vinto un Oscar.
Ma doveva tenersi buoni i Bosciarqi. In passato aveva già avuto a che fare con questa famiglia bizzarra e ne era sempre uscito piuttosto ammaccato. Non poteva permettersi di inimicarseli….
Ma doveva tenersi buoni i Bosciarqi. In passato aveva già avuto a che fare con questa famiglia bizzarra e ne era sempre uscito piuttosto ammaccato. Non poteva permettersi di inimicarseli….
Mentire per salvarsi! decise il primo cittadino.
“Anch’io,
come voi, sono un amante della natura incontaminata e per questo vi chiedo di
aiutarmi”.
“Mio
caro sindaco”, Amaranda abbracciò l’uomo, “noi ecologisti, ogni volta, ci
meravigliamo di quanto l’essere umano possa essere crudele. Troviamo che certe
decisioni siano abominevoli ma non dobbiamo arrenderci mai! E noi saremo al suo
fianco”.
Le
braccia cicciotte della donna debordavano abbondantemente dalle maniche
elasticizzate del vestito con grosse margherite stampate sulla stoffa verde.
“Non si preoccupi, signor sindaco,
chiederemo aiuto alla dolcissima zia Arina. Lei è una vera esperta e
riuscirà a trovare una soluzione”.
“Grazie
mille, signora Bosciarqi. Avere voi al mio fianco è sempre una grande gioia e
motivo di profonda serenità. Chiederò al Prefetto un nuovo sopralluogo. ”, mentì l’uomo.
Poi, di nascosto, strizzò l’occhio ad uno degli operai.
Raggiunse quindi la folla, che ancora inveiva contro l’amministrazione comunale e, tenendo le braccia sollevate, disse ad alta voce: “Carissimi concittadini, abbiamo appena trovato un valido accordo con la famiglia Bosciarqi che soddisferà tutti noi. Potete tornare tranquillamente alle vostre case. Il vecchio faggio non verrà abbattuto. Vi do la mia parola, la stessa che ho dato ai nostri cari Bosciarqi e che loro hanno accettato. Chiederò una nuova valutazione alla prefettura”…
Raggiunse quindi la folla, che ancora inveiva contro l’amministrazione comunale e, tenendo le braccia sollevate, disse ad alta voce: “Carissimi concittadini, abbiamo appena trovato un valido accordo con la famiglia Bosciarqi che soddisferà tutti noi. Potete tornare tranquillamente alle vostre case. Il vecchio faggio non verrà abbattuto. Vi do la mia parola, la stessa che ho dato ai nostri cari Bosciarqi e che loro hanno accettato. Chiederò una nuova valutazione alla prefettura”…
Parola di politico…
Si
rivolse poi alla coppia di operai in tono teatralmente ostile.
“Avete
sentito? Lasciate il loro amato faggio ai freudaccesi. Finché io sarò il sindaco
di questa città, non permetterò che si faccia del male ad una pianta tanto bella
e maestosa solo perché ha il tronco cavo! Lasciate dunque tacere i vostri
strumenti di morte e tornatevene a casa”.
Se
non fosse stato per la confusione, quelle parole sarebbero suonate false anche
ad un sordo.
Ad
ogni modo, i due uomini muniti di motosega, fecero un cenno di assenso,
salirono sul loro camioncino e si allontanarono.
Anche
la folla se ne andò alla spicciolata. Embé, se i Bosciarqi sorridevano e
parlottavano amabilmente col sindaco, potevano davvero sentirsi tutti tranquilli.
“Bene,
a questo punto possiamo tornare a casa anche noi”, suggerì Abien, rivolto ai
figli.
“Un
attimo, non trovo più Liptolo”, si preoccupò Alaja. “Arame se l’è fatto
scappare!”
“Non
dire idiozie!”, protestò il bimbo. “Dev’essere qui intorno”.
“Non
c’è motivo di preoccuparsi”, intervenne la madre. “Qui è pieno di alberi. Sarà
andato a fare due chiacchiere con qualche amico. Tornerà a casa da solo come ha
sempre fatto”.
Rimasto
solo, Mino si guardò intorno con fare circospetto. Estrasse il cellulare dalla
tasca e selezionò un nome dalla rubrica.
“Per
una volta quei sempliciotti dei Bosciarqi mi sono stati d’aiuto. I manifestanti
se ne sono andati e stanotte potremo procedere con l’abbattimento di quel
maledetto faggio”.
Chiuse
la telefonata.
Prima
di salire in auto, l’uomo si sfregò le mani e sorrise compiaciuto della sua
arguzia… Ma non si avvide di un leggero movimento tra le fronde della pianta
che presto avrebbe consegnato alle motoseghe degli operai.
Come
stabilito, quella stessa notte i dipendenti del Comune, armati di torce
elettriche, raggiunsero l’albero. Il sindaco era con loro. La temperatura era mite e
il cielo ero rischiarato dalla luna piena e da milioni di stelle argentate.
Mino
sogghignò.
“Signor Sindaco, ho paura che domani ci saranno delle proteste”, fece notare uno degli
operai.
“Lei
è pagato per lavorare, non per pensare”, ribatté secco il primo cittadino. “IO sono quello che deve pensare al bene comune e quell’albero è instabile quindi rappresenta una minaccia alla sicurezza”.
L’uomo
che aveva parlato, appoggiò lo zaino ai piedi del tronco cavo.
“Pssss”,
gli parve di udire.
Scosse
il capo, più o meno sicuro che si trattasse del frutto della sua immaginazione.
Si
piegò nuovamente per prendere il gesso con cui segnare il punto esatto da tagliare. Ma qualcosa gli sfiorò la testa.
Di
scatto, guardò verso l’alto e diresse la luce della pila sulle fronde della
pianta. Ciò che riuscì a vedere fu un ramoscello
che si ritirava rapidamente tra la chioma.
“Ehy,
che succede?”, gridò.
“Con
chi ce l’hai?”, gli domandò il collega.
“Con
nessuno ma, se non ti dispiace, vieni tu a fare i segni”.
L’operaio
sorrise e si avvicinò all’albero mentre il compagno prese le distanze della
pianta.
Fu
in quel momento che un sibilo assordante fuoriuscì dalla cavità del tronco.
“Che
diavoleria è mai questa?”, gridò l’uomo.
Anche
gli altri due sussultarono. Poi tutto tacque.
“Che
scherzi sono? Venite allo scoperto”, ordinò il sindaco. Ma le parole uscirono a scatti, senza la necessaria autorità.
I
due operai puntarono le torce tutt’intorno.
Nessuno
in vista.
“Forza,
tagliate quell’albero maledetto! Fate presto!”
“Subito
signor Sindaco”, rispose uno dei dipendenti.
Lui
e il collega si avvicinarono nuovamente alla pianta.
“F
E R M A T E V I”
Un
vocione camuffato, bloccò gli uomini con le motoseghe già in mano.
“O V I
L E G H E R O’ C O I M I E I
R A M I”
In quel preciso istante, due
lunghi fuscelli calarono a terra e iniziarono a muoversi come serpenti.
“Cos’è
questa pagliacciata?”
Nella
voce di Mino però c’era una chiara nota di terrore.
Ecco
di nuovo il sibilo di poc’anzi.
“S
O N O L’A N I M A D E L
F A G G I O, V O I N O N
M I U C C I D E R E T E”
Al termine della frase, una
luce si irradiò dalla cavità del tronco.
I
tre uomini si abbracciarono l’un l’altro. Per poco non si montarono addosso
reciprocamente. Erano davvero terrorizzati.
Il
fischio aumentò ancora d’intensità.
Il
chiarore si mosse e, dall’apertura, sbucò un alberello in miniatura coi rami che
rilucevano al buio della notte.
“A
N D A T E V E N E O S A R E T E
V O I A M O R I R E”
La minaccia terminò con un sibilo assordante.
L’anima
luminosa del faggio continuò ad avanzare finché, a pochi passi dai tre uomini tremanti, la paura si impossessò delle loro gambe e li fece fuggire
via a tutta velocità... Il faggio era salvo!
“Che
cara persona il nostro sindaco”, strillò Amaranda mentre, con una sega
circolare, tagliava le pietre per il pranzo di Alaja.
“Si,
fagiolino mio, è davvero un uomo di parola”.
Abien
stava assaggiando l’erba che ricopriva il pavimento.
“Domani
arriverà zia Arina e troverà di certo una cura per il vecchio faggio”,
proseguì il signor Bosciarqi. Ma dalle espressioni di disgusto era chiaro
che preferiva i suoi amati spini di acacia.
“OOOOOHHHHH”,
si allarmò la moglie.
La
lama si era appena sganciata dalla base ed era andata a conficcarsi sulla parete opposta. Per
fortuna il marito aveva fatto in tempo ad abbassarsi o sarebbe finito decapitato. Ma non ne era uscito illeso al 100%. La sommità della testa, completamente rasata, stava a testimoniare che aveva davvero rischiato grosso. Effetto tagliaerba su un prato incolto. Potevano lanciare un nuovo taglio alla moda!!!
“Perdonami
tesoro”, si scusò la moglie, “Dovrò portare questo aggeggio a fare aggiustare o
avrò problemi a preparare i pasti per la nostra tesorina”.
“Non
preoccuparti mia cara, sono cose che capitano”, rispose Abien, toccandosi la
pelata.
Fuori
dalla cucina, Arame e Alaja si scambiarono un sonoro “CINQUE” ed abbracciarono la pianta vivente di eucalipto.
“Ottimo
lavoro”, gioì la bimba.
“Per
fortuna Liptolo ha sentito, casualmente, le intenzioni del sindaco”, concluse il fratello,
riferendosi al piccolo arbusto che , subito, emise un sibilo di soddisfazione.
FINE
NONO
EPISODIO
giovedì 6 aprile 2017
GHOSTBUSTERS A TREDOZIO
ALLA RICERCA DI MARIA VIRGINIA FABRONI
Maria Virginia Fabroni all'età di vent'anni era già nota in tutta Italia. Studiò al conservatorio Sant'Anna di Pisa dall'aprile del 1862 al settembre del 1868 (Fondo Conservatorio di Sant'Anna, unità n.168). Durante questi anni, conobbe colui che possiamo considerare il suo mentore e cioè l' operajo Paolo Folini - presidente della struttura collegiale -. Terminati gli studi M.V.F. rientrò a Tredozio (FC) ma i rapporti con l'uomo proseguirono. La poetessa gli inviava sovente i suoi componimenti, chiedendo consigli. Grazie a questi numerosi scambi epistolari, la Fabroni affinò l'arte del bello scrivere.
La vita di M.V.F. fu tutt'altro che felice e il dramma interiore è molto presente nelle sue poesie. Il padre, il dottor Giuseppe, era quello che si può definire il classico padre padrone e la opprimeva molto severamente. Lei continuò imperterrita a svicolare dai matrimoni combinati dal genitore, causandone le ire. Infelice e soffocata, si ammalò e morì di tisi alla giovane età di ventisei anni... Ora il suo spirito potrebbe aggirarsi tra le mura dell'abitazione in cui esalò l'ultimo respiro:
L'EX CONVENTO DELLA SS. ANNUNZIATA.
APPUNTAMENTO AL 17 GIUGNO
martedì 4 aprile 2017
LATO OSCURO
OTTAVO RACCONTO del concorso SMART WRITING!!!
Entro la fine del mese inviteremo i lettori del blog a votare il racconto preferito.
info murodilibri@libero.it
info murodilibri@libero.it
“ Il
mio demone interiore diceva di farlo, ed io ho seguito quella voce che mi
tartassava la mente, inducendomi a reagire a quella mostruosità che mi appariva
davanti ai miei occhi; mia madre.”
In quel momento ho abbattuto la resistenza ed ho
affrontato il mio dolore.
Il mio tormento, man mano che affondavo quella lama nel
suo ventre duro, andava scemando, provando un senso di gioia e di conforto, in
quelle grida disperate di una madre affranta, guardando negli occhi la sua
piccola bambina che le squartava le budella. La lama del coltello penetrava in
profondità ed io inalavo quei respiri ansimanti di paura e di perdizione.
Moriva, stava agonizzando, e mi sentivo leggiadra, appagata, serena, pensando
di aver domato quel mio istinto che mi portava a distruggere chi mi aveva
creato.
Finalmente ero sua, e lui era mio.
Mio padre
- CONFESSIONI
DI EVA MACEDO - Dicembre 1998
1989
La piccola Eva Macedo giaceva inerme davanti a quel corpo
nudo e insanguinato della madre Maria. Il suo candido pigiama bianco era
imbrattato del color rosso che aveva accecato la sua mente, provocando l’ira
nei confronti di quella madre, che incredula, non aveva neanche cercato di
ribellarsi per quei forti e doloranti colpi all’addome che la piccola Eva le
aveva inflitto.
Quei suoi lunghi capelli biondi coprivano quegli occhi
azzurri come il cielo, il suo viso pallido era candido come la neve, e le sue
labbra rosa tremavano, vedendo quel corpo disteso sul pavimento della camera da
letto, oscurata da un grosso velo purpureo che ricoprivano quelle finestre
troppo grandi, troppo ampie per quella sua dimora, dove ricercava il conforto e
l’amore che il padre, Ernesto, arrecava alla moglie.
“
Sentivo una forte attrazione per mio padre. Avevo un senso di repulsione per
gli uomini che venivano a farci visita, ma per lui, il mio papà, non ne
provavo. Ogni volta che lo guardavo lo ammiravo, e mi sentivo come eccitata. Il
mio demone interiore ne era affascinato e mi incitava a stargli vicino. Non me
ne volevo mai distaccare, lui era la mia ossessione, il mio protettore, amavo
ogni tocco e sguardo dei suoi occhi. Mi sentivo sua e lui era eternamente mio.”
EVA MACEDO carcere minorile 1998
La giovane Eva si confidava alle autorità. Non sembrava
per niente turbata, ricordando quel momento che aveva cambiato la sua vita. Il
suo sguardo era fisso sull’orologio bianco appeso all’unica parete grigia e
cupa di quel confessionale, destando la sua attenzione in quella espressione
ambigua. I suoi occhi cielo andavano a spegnersi nella prigione che la
soffocava, privandosi della sua adolescenza spensierata. Le lancette
dell’orologio sembravano essersi fermate a quelle ore di disperazione, di
quando la piccola Eva era immersa in quella pozzanghera di sangue. Ora la si
vedeva sconfortata e fragile, e nessuno mai avrebbe osato solamente pensare che
quella ragazzina era l’assassina della sua famiglia.
Dal riformatorio non ne traeva beneficio, e quegli anni
passati dal macabro accaduto non le avevano insegnato nulla. Era sempre vaga,
come se niente le importasse, si perdeva totalmente in quelle giornate prive di qualsiasi
speranza giovanile.
La sua mente viaggiava o si era fermata in quell’arco di
tempo?
Ma quelle lancette dell’orologio le ricordavano qualcosa,
e man mano che i secondi e i minuti passavano, dentro quel suo meccanismo
mentale, si agitava un movimento psichico confusionale, e la ragazza,
apparentemente mite, emanava dal suo inconscio il suo demone interiore. Il suo
peccato veniva a farle visita nei giorni bui, la esortava a reagire, e lei si
lasciava andare in urla disperate.
“
Ogni volta che il mio papà mi sfiorava le labbra con la sua bocca calda e
morbida, io mi sentivo estasiata. Volevo persuaderlo, ma lui in me vedeva solo
una bambina bisognosa di carezze. Io
quelle carezze le avrei volute sul mio corpo, sentendo il palmo delle sue mani
dure sfiorare la mia pelle.
Mia
madre, prima di coricarsi veniva a darmi il saluto della notte, ma quando lo
faceva, il mio stomaco si contorceva, dai miei occhi lacrime di dolore
scendevano sul viso, bruciavano la mia pelle, la rabbia mi assaliva nella mente
e provavo un senso di ribellione. Non avrei voluto che andasse a rubare
quell’amore che mi era dovuto, e quando la vedevo poggiarsi in quel letto dalle
lenzuola color avorio, penetrava in me un senso di ingiustizia e mi capacitavo
nel ripetermi che prima o poi mi sarei presa la mia vittoria!”
Ammiravo il cielo in un pomeriggio limpido di sole. Mi
permettevano di leggere qualche libro, e nello spazio che ci concedevano per
passeggiare notavo sempre piccoli gruppi di ragazze formarsi. Mi facevo da
parte. Volevo uscire fuori dagli schemi, e mi allontanavo da quelle persone che
non rendevano appetibile il mio animo tormentato.
Volevo scappare da quella prigione che incatenava il mio
istinto, il mio pensiero non esitava a vagare in quella ribellione che dentro
me scoppiava. Desideravo emergere in un mondo che mi privava della mia sete di
vendetta, quella vendetta che mi aveva spinto ad ammazzare chi mi era intorno,
quel desiderio di vedere e restare li a fissare quel colore rosso sangue che mi
agitava le viscere del mio stomaco. Io volevo uccidere, sterminare e
combattere, ma solamente per me stessa, per il folle e unico pensiero di vedere
la gente soffrire.
Di notte quando ero in carcere, dei desideri perversi mi
assalivano, ripensavo a quel mio passato inadeguato, a quell’odio cruento che
provavo nei confronti di mia madre. Immaginavo di fare l’amore con mio padre dinanzi
a quel corpo tumefatto, e godevo a dismisura nel comporre quelle fantasie
sfrenate che il mio demone interiore farneticava.
“ Io
sono Eva Macedo, sono colei che verrà nei vostri incubi a destarvi dalla
staticità, sono colei che renderà le vostre vite complicate, straziate e
turbate. Io sono il demone, io sono il terrore, sarò il vostro tentatore. Il
sangue è la mia sete, la coppa sarà il mio trionfo, la innalzerò sopra il
vostro capo e berrò il vostro dolore, per la mia gloria per la mia gioia.”
LATO OSCURO
EVA MACEDO all’età di 10 anni venne arrestata per
omicidio colposo ai danni della madre Maria Mendez Macedo, e di Ernesto Macedo.
Figlia unica, di origini cilene...
domenica 2 aprile 2017
INTERVISTA A LORENZO BOSI
DOPO AVER INTERVISTATO UNA QUINDICINA DI SCRITTORI, È GIUNTO IL MIO TURNO.
LE DOMANDE MI SONO STATE POSTE DA PATRIZIA FINUCCI GALLO, UNA SPLENDIDA GIORNALISTA, SCRITTRICE E BLOGGER MA, SOPRATTUTTO, UNA GRANDE AMICA.
L'INTERVISTA È INSERITA NEL SUO LIBRO: CHE PROFUMO HA LA TUA SCRITTURA CHE POTETE SCARICARE QUI:
http://www.pfgstyle.com/2017/03/quale-profumo-ha-la-tua-scrittura.html
TUTTA COLPA DELLA
SIGNORA IN GIALLO
Colloquio con Lorenzo Bosi
scrittore di libri per ragazzi
Quando entra nelle aule scolastiche per presentare i suoi
libri si fatica a capire chi fra di loro sia l’adolescente e chi lo
scrittore. E questo potrebbe essere un bene se, ed è il caso
di Lorenzo, si sceglie di passare alla narrativa per ragazzi.
Insomma, quando si ha a che fare con gli incantesimi un
pizzico di essenza magica nel cuore la devi pure avere.
Eppure, a quanto mi hai raccontato, non ha molto di ma-
gico, il tuo quotidiano...
Sì, la mia giornata tipo non è esattamente quella di uno
scrittore affermato. Ogni mattina, dopo un’abbondante co-
lazione, mi dirigo al negozio dove lavoro fino alla mezza.
Pausa pranzo sportiva in palestra a riossigenare il cervello
e si torna al lavoro fino a sera. Ahimè, la scrittura occupa
solo il dopo cena, quando mi isolo davanti al computer o
mi immergo sotto pile di fogli e cartacce varie e do libero
sfogo alla fantasia.
E allora da dove nascono le tue storie?
Ma ovunque! O meglio, l’idea, l’intuizione, non hanno luo-
go fisso. Spesso gli spunti per una storia li trovo in palestra,
in auto, durante una passeggiata e, sì, anche al lavoro. L’im-
portante è appuntarsi ogni cosa. Prendere nota di tutto. Si
può trarre beneficio anche dalle idee che, in un primo mo-
mento abbiamo considerato inutili o, addirittura, idiote: è
il famigerato “senno del poi”. La sera poi si raccolgono i fili
e si tesse la tela. In soggiorno, ma non in silenzio. Ho biso-
gno di un sottofondo costante. A casa mia la tv è sempre
accesa.
Tutte le sere così? E magari al computer la domenica e le
feste comandate?
Ma no, figuriamoci, anzi! Intanto, per la cronaca, non po-
trei mai scrivere le mie storie davanti allo schermo bianco di
un computer, non riuscirei a riempire nemmeno una riga,
mi sentirei disorientato, amareggiato. La penna in mano in-
vece mi dà sicurezza e, probabilmente, ha un collegamento
diretto con le terminazioni nervose del mio cervello: così la
pagina vuota si riempie di inchiostro a velocità sorprenden-
te. Quanto ai miei ritmi di lavoro, sono molto irregolari.
Ci sono periodi di massima produttività letteraria nei quali
sfrutto ogni istante per scrivere, altri invece in cui preferi-
sco occuparmi del mio blog, altri ancora in cui trovo più
stimolante recitare a teatro. O fare altro: ora sto cercando
di ridare il lustro che merita alla poetessa tredoziese dell’Ot-
tocento Maria Virginia Fabroni, in collaborazione con l’am-
ministrazione comunale. E sono alla disperata ricerca del
fantasma di suo fratello Pier Matteo che si aggira nei mean-
dri dell’ex convento della SS. Annunziata.
Fai un passo indietro. Quando hai maturato l’idea di scri-
vere?
Vent’anni fa, guardando La Signora in Giallo. Ho sempre
adorato l’immagine di lei, Angela Lansbury-Jessica Fletcher,
quando nella sigla della serie batte sui tasti della vecchia
LE DOMANDE MI SONO STATE POSTE DA PATRIZIA FINUCCI GALLO, UNA SPLENDIDA GIORNALISTA, SCRITTRICE E BLOGGER MA, SOPRATTUTTO, UNA GRANDE AMICA.
L'INTERVISTA È INSERITA NEL SUO LIBRO: CHE PROFUMO HA LA TUA SCRITTURA CHE POTETE SCARICARE QUI:
http://www.pfgstyle.com/2017/03/quale-profumo-ha-la-tua-scrittura.html
TUTTA COLPA DELLA
SIGNORA IN GIALLO
Colloquio con Lorenzo Bosi
scrittore di libri per ragazzi
Quando entra nelle aule scolastiche per presentare i suoi
libri si fatica a capire chi fra di loro sia l’adolescente e chi lo
scrittore. E questo potrebbe essere un bene se, ed è il caso
di Lorenzo, si sceglie di passare alla narrativa per ragazzi.
Insomma, quando si ha a che fare con gli incantesimi un
pizzico di essenza magica nel cuore la devi pure avere.
Eppure, a quanto mi hai raccontato, non ha molto di ma-
gico, il tuo quotidiano...
Sì, la mia giornata tipo non è esattamente quella di uno
scrittore affermato. Ogni mattina, dopo un’abbondante co-
lazione, mi dirigo al negozio dove lavoro fino alla mezza.
Pausa pranzo sportiva in palestra a riossigenare il cervello
e si torna al lavoro fino a sera. Ahimè, la scrittura occupa
solo il dopo cena, quando mi isolo davanti al computer o
mi immergo sotto pile di fogli e cartacce varie e do libero
sfogo alla fantasia.
E allora da dove nascono le tue storie?
Ma ovunque! O meglio, l’idea, l’intuizione, non hanno luo-
go fisso. Spesso gli spunti per una storia li trovo in palestra,
in auto, durante una passeggiata e, sì, anche al lavoro. L’im-
portante è appuntarsi ogni cosa. Prendere nota di tutto. Si
può trarre beneficio anche dalle idee che, in un primo mo-
mento abbiamo considerato inutili o, addirittura, idiote: è
il famigerato “senno del poi”. La sera poi si raccolgono i fili
e si tesse la tela. In soggiorno, ma non in silenzio. Ho biso-
gno di un sottofondo costante. A casa mia la tv è sempre
accesa.
Tutte le sere così? E magari al computer la domenica e le
feste comandate?
Ma no, figuriamoci, anzi! Intanto, per la cronaca, non po-
trei mai scrivere le mie storie davanti allo schermo bianco di
un computer, non riuscirei a riempire nemmeno una riga,
mi sentirei disorientato, amareggiato. La penna in mano in-
vece mi dà sicurezza e, probabilmente, ha un collegamento
diretto con le terminazioni nervose del mio cervello: così la
pagina vuota si riempie di inchiostro a velocità sorprenden-
te. Quanto ai miei ritmi di lavoro, sono molto irregolari.
Ci sono periodi di massima produttività letteraria nei quali
sfrutto ogni istante per scrivere, altri invece in cui preferi-
sco occuparmi del mio blog, altri ancora in cui trovo più
stimolante recitare a teatro. O fare altro: ora sto cercando
di ridare il lustro che merita alla poetessa tredoziese dell’Ot-
tocento Maria Virginia Fabroni, in collaborazione con l’am-
ministrazione comunale. E sono alla disperata ricerca del
fantasma di suo fratello Pier Matteo che si aggira nei mean-
dri dell’ex convento della SS. Annunziata.
Fai un passo indietro. Quando hai maturato l’idea di scri-
vere?
Vent’anni fa, guardando La Signora in Giallo. Ho sempre
adorato l’immagine di lei, Angela Lansbury-Jessica Fletcher,
quando nella sigla della serie batte sui tasti della vecchia
macchina da scrivere, i fogli si riempiono uno a uno, lei
infine li ripone e chiude la cartellina di pelle con su inciso
“Murder, she wrote”. La passione l’avevo anche prima, ma
a scuola non avrei mai pensato di essere in grado di scrivere
un libro. E, a dire il vero, nemmeno quando ho iniziato
il mio primo romanzo ero certo di riuscire ad arrivare in
fondo. Mai arrendersi, mi sono detto, le difficoltà vanno
affrontate man mano che ci si presentano davanti: con la
perseveranza i risultati si ottengono, vale per la scrittura
come per tutte le avversità con cui la vita ci mette alla prova.
Parliamo di profumo. La prima immagine che ti viene in
mente.
Una cascata di montagna, le cui acque si gettano in un bo-
sco di conifere.
La fragranza della tua scrittura.
Ha l’aroma del tè al limone che non manca mai sul mio
tavolo. E delle torte appena sfornate da Jessica Fletcher.
L’odore dei tuoi libri per ragazzi.
Hanno l’aroma di biscotti e cioccolato, ottima merenda per
chi ha l’età dei miei lettori.
Del tuo prossimo libro.
Tres Dotes, in uscita, è una narrazione storico-mitologica che
prende spunto dalla poesia di Maria Virginia Fabroni, di
cui ti ho detto: com’è giusto che sia, ha il profumo metallico
delle armi, misto a quello più dolce dei campi di fiori.
Della carta su cui scrivi.
Sarà l’odore, sarà altro, ma scrivere su un foglio mi da feli-
cità. Rendere reale una storia che fino a quel momento era
solo nella mia mente procura sensazioni difficili da espri-
mere anche per uno scrittore. Ci si sente appagati. Sì, è il
termine giusto.
Lorenzo Bosi vive a Tredozio, piccolo centro dell’Appenino to-
sco-romagnolo. Adolescente, mette mano ad un racconto che resterà
nel cassetto fino al 2003 quando diventerà il suo libro di debutto,
Sei per un mistero. Seguono Sei alla reggia di Batirkika, Sei
sul pianeta dei giganti e Sei contro i fantasmi neri. Dal 2010
per Freaks pubblica Il mistero della bara e Una notte in uffi-
cio. In uscita lo storico/mitologico Tres Dotes.
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