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domenica 9 aprile 2017

AI BOSCIARQI NON LA SI FA

di
Lorenzo Bosi

Melissa la giraffa fuoriuscì alla massima velocità da casa Bosciarqi. Gli zoccoli dell’animale scivolavano sull’asfalto e, nelle curve repentine, il carico che portava in groppa rischiava ogni volta una rovinosa caduta a terra. Ma Amaranda e Abien si tenevano ben stretti.
Cosa spaventava così tanto la nostra povera Malissa? Vi starete chiedendo più preoccupati che mai.
“Dai Melly, vai più veloce! Dobbiamo impedire che taglino quel povero albero”, la incitò Amaranda.
Eccoci rivelata la ragione di quella corsa precipitosa. Tranquilli. Nessun leone le stava alle calcagna.
“Cara, non ti distrarre. Non vorrei che tu cadessi”, si raccomandò Abien.
L’uomo era praticamente seduto sulla testa della moglie e aggrappato al collo della giraffa.
Attraversare Freudaccio non fu affatto facile. Il momento più tragicomico arrivò quando Melissa ebbe un faccia a faccia con l'autobus n 5. Il povero autista si ritrovò il muso dell’animale stampato sul parabrezza. Niente di grave... Dopo la chiassosa inchiodata e le grida dei passeggeri, il maestoso animale tornò a galoppare per le vie della cittadina. 
Quando giunsero al luogo indicato, non ne poteva più. La povera bestia aveva la lunga lingua a penzoloni. 
Lì, una nutrita folla di concittadini era assembrata davanti ad un grosso albero. 
Nello scendere dalla groppa, Amaranda rimbalzò al suolo come una palla.
“Signor sindaco, anche lei è qui?”, si affrettò a domandare.
“Miei carissimi amici Bosciarqi”, li accolse Mino con un sorriso falso come una banconota da 25 Euro. “Vi stavo proprio aspettando”.
“Cosa sta succedendo? Chi vuole abbattere quel povero albero?”, domandò Abien, cercando di superare il volume della folla che stava lanciando slogan ad alta voce.
“NON ABBATTIAMO GLI ALBERI” “GLI ALBERI SONO VITA” “NOI SIAMO CON LA NATURA” “PIU’ VERDE-MENO CEMENTO”
Riprodotti anche su grandi cartelli.
Qualche manifestante inveiva in maniera minacciosa contro i due operai armati di motosega.
Il sindaco prese sottobraccio i coniugi e li condusse lontano dalla calca.
“Miei cari amici, solo voi potete aiutarmi a risolvere questo problema”
“In che modo?”, domandò Amaranda.
“Non basta che lei ordini di bloccare l’abbattimento?”
Proprio in quel momento, giunsero anche Arame e Alaja, con Liptolo in braccio.
“Cosa ci fate qui?”
“Mamma, noi vogliamo impedire che uccidano questo povero albero”.
“Arame ha ragione”, gli fece eco la sorella. Poi rivolse uno sguardo di fuoco al sindaco. “Perché non ordini di bloccare quegli assassini?”, domandò, indicato gli operai.
“Non è così semplice, piccoli cari”, iniziò a spiegare l’uomo. “Quel grosso albero è gravemente ammalato. Il tronco è completamente cavo e la pianta rischia di cadere. Per questo motivo la prefettura mi ha dato ordine di abbatterlo. Io non ho nessun potere”. Mino sembrava sul punto di piangere.
Peccato non avesse intrapreso la carriera da attore. Avrebbe certamente vinto un Oscar.
Ma doveva tenersi buoni i Bosciarqi. In passato aveva già avuto a che fare con questa famiglia bizzarra e ne era sempre uscito piuttosto ammaccato. Non poteva permettersi di inimicarseli…. 
Mentire per salvarsi! decise il primo cittadino.
“Anch’io, come voi, sono un amante della natura incontaminata e per questo vi chiedo di aiutarmi”.
“Mio caro sindaco”, Amaranda abbracciò l’uomo, “noi ecologisti, ogni volta, ci meravigliamo di quanto l’essere umano possa essere crudele. Troviamo che certe decisioni siano abominevoli ma non dobbiamo arrenderci mai! E noi saremo al suo fianco”.
Le braccia cicciotte della donna debordavano abbondantemente dalle maniche elasticizzate del vestito con grosse margherite stampate sulla stoffa verde. “Non  si preoccupi, signor sindaco, chiederemo aiuto alla dolcissima zia Arina. Lei è una vera esperta e riuscirà a trovare una soluzione”.
“Grazie mille, signora Bosciarqi. Avere voi al mio fianco è sempre una grande gioia e motivo di profonda serenità. Chiederò al Prefetto un nuovo sopralluogo. ”, mentì l’uomo.
Poi, di nascosto, strizzò l’occhio ad uno degli operai.
Raggiunse quindi la folla, che ancora inveiva contro l’amministrazione comunale e, tenendo le braccia sollevate, disse ad alta voce: “Carissimi concittadini, abbiamo appena trovato un valido accordo con la famiglia Bosciarqi che soddisferà tutti noi. Potete tornare tranquillamente alle vostre case. Il vecchio faggio non verrà abbattuto. Vi do la mia parola, la stessa che ho dato ai nostri cari Bosciarqi e che loro hanno accettato. Chiederò una nuova valutazione alla prefettura”…
Parola di politico…
Si rivolse poi alla coppia di operai in tono teatralmente ostile.
“Avete sentito? Lasciate il loro amato faggio ai freudaccesi. Finché io sarò il sindaco di questa città, non permetterò che si faccia del male ad una pianta tanto bella e maestosa solo perché ha il tronco cavo! Lasciate dunque tacere i vostri strumenti di morte e tornatevene a casa”.
Se non fosse stato per la confusione, quelle parole sarebbero suonate false anche ad un sordo.
Ad ogni modo, i due uomini muniti di motosega, fecero un cenno di assenso, salirono sul loro camioncino e si allontanarono.
Anche la folla se ne andò alla spicciolata. Embé, se i Bosciarqi sorridevano e parlottavano amabilmente col sindaco, potevano davvero sentirsi tutti tranquilli.
“Bene, a questo punto possiamo tornare a casa anche noi”, suggerì Abien, rivolto ai figli.
“Un attimo, non trovo più Liptolo”, si preoccupò Alaja. “Arame se l’è fatto scappare!”
“Non dire idiozie!”, protestò il bimbo. “Dev’essere qui intorno”.
“Non c’è motivo di preoccuparsi”, intervenne la madre. “Qui è pieno di alberi. Sarà andato a fare due chiacchiere con qualche amico. Tornerà a casa da solo come ha sempre fatto”.
Rimasto solo, Mino si guardò intorno con fare circospetto. Estrasse il cellulare dalla tasca e selezionò un nome dalla rubrica.
“Per una volta quei sempliciotti dei Bosciarqi mi sono stati d’aiuto. I manifestanti se ne sono andati e stanotte potremo procedere con l’abbattimento di quel maledetto faggio”.
Chiuse la telefonata.
Prima di salire in auto, l’uomo si sfregò le mani e sorrise compiaciuto della sua arguzia… Ma non si avvide di un leggero movimento tra le fronde della pianta che presto avrebbe consegnato alle motoseghe degli operai.

Come stabilito, quella stessa notte i dipendenti del Comune, armati di torce elettriche, raggiunsero l’albero. Il sindaco era con loro. La temperatura era mite e il cielo ero rischiarato dalla luna piena e da milioni di stelle argentate.
Mino sogghignò.
“Signor Sindaco, ho paura che domani ci saranno delle proteste”, fece notare uno degli operai.
“Lei è pagato per lavorare, non per pensare”, ribatté secco il primo cittadino. “IO sono quello che deve pensare al bene comune e quell’albero è instabile quindi rappresenta una minaccia alla sicurezza”.
L’uomo che aveva parlato, appoggiò lo zaino ai piedi del tronco cavo.
“Pssss”, gli parve di udire.
Scosse il capo, più o meno sicuro che si trattasse del frutto della sua immaginazione.
Si piegò nuovamente per prendere il gesso con cui segnare il punto esatto  da tagliare. Ma qualcosa gli sfiorò la testa.
Di scatto, guardò verso l’alto e diresse la luce della pila sulle fronde della pianta. Ciò che riuscì a vedere fu un  ramoscello che si ritirava rapidamente tra la chioma.
“Ehy, che succede?”, gridò.
“Con chi ce l’hai?”, gli domandò il collega.
“Con nessuno ma, se non ti dispiace, vieni tu a fare i segni”.
L’operaio sorrise e si avvicinò all’albero mentre il compagno prese le distanze della pianta.
Fu in quel momento che un sibilo assordante fuoriuscì dalla cavità del tronco.
“Che diavoleria è mai questa?”, gridò l’uomo.
Anche gli altri due sussultarono. Poi tutto tacque.
“Che scherzi sono? Venite allo scoperto”, ordinò il sindaco. Ma le parole uscirono a scatti, senza la necessaria autorità.
I due operai puntarono le torce tutt’intorno.
Nessuno in vista.
“Forza, tagliate quell’albero maledetto! Fate presto!”
“Subito signor Sindaco”, rispose uno dei dipendenti.
Lui e il collega si avvicinarono nuovamente alla pianta.
“F E R M A T E V I”
Un vocione camuffato, bloccò gli uomini con le motoseghe già in mano.
“O   V I    L E G H E R O’   C O I    M I E I    R A M I”
In quel preciso istante, due lunghi fuscelli calarono a terra e iniziarono a muoversi come serpenti.
“Cos’è questa pagliacciata?”
Nella voce di Mino però c’era una chiara nota di terrore.
Ecco di nuovo il sibilo di poc’anzi.
“S O N O   L’A N I M A   D E L   F A G G I O,   V O I   N O N   M I   U C C I D E R E T E”
Al termine della frase, una luce si irradiò dalla cavità del tronco.
I tre uomini si abbracciarono l’un l’altro. Per poco non si montarono addosso reciprocamente. Erano  davvero terrorizzati.
Il fischio aumentò ancora d’intensità.
Il chiarore si mosse e, dall’apertura, sbucò un alberello in miniatura coi rami che rilucevano al buio della notte.
“A N D A T E V E N E   O   S A R E T E   V O I   A   M O R I R E”
La minaccia terminò con un sibilo assordante.
L’anima luminosa del faggio continuò ad avanzare finché, a pochi passi dai tre uomini tremanti, la paura si impossessò delle loro gambe e li fece fuggire via a tutta velocità... Il faggio era salvo!

“Che cara persona il nostro sindaco”, strillò Amaranda mentre, con una sega circolare, tagliava le pietre per il pranzo di Alaja.
“Si, fagiolino mio, è davvero un uomo di parola”.
Abien stava assaggiando l’erba che ricopriva il pavimento.
“Domani arriverà zia Arina e troverà di certo una cura per il vecchio faggio”, proseguì il signor Bosciarqi. Ma dalle espressioni di disgusto era chiaro che preferiva i suoi amati spini di acacia.
“OOOOOHHHHH”, si allarmò la moglie.
La lama si era appena sganciata dalla base ed era andata a conficcarsi sulla parete opposta. Per fortuna il marito aveva fatto in tempo ad abbassarsi o sarebbe finito decapitato. Ma non ne era uscito illeso al 100%. La sommità della testa, completamente rasata, stava a testimoniare che aveva davvero rischiato grosso. Effetto tagliaerba su un prato incolto. Potevano lanciare un nuovo taglio alla moda!!! 
“Perdonami tesoro”, si scusò la moglie, “Dovrò portare questo aggeggio a fare aggiustare o avrò problemi a preparare i pasti per la nostra tesorina”.
“Non preoccuparti mia cara, sono cose che capitano”, rispose Abien, toccandosi la pelata.
Fuori dalla cucina, Arame e Alaja si scambiarono un sonoro “CINQUE” ed abbracciarono la pianta vivente di eucalipto.
“Ottimo lavoro”, gioì la bimba.
“Per fortuna Liptolo ha sentito, casualmente, le intenzioni del sindaco”, concluse il fratello, riferendosi al piccolo arbusto che , subito, emise un sibilo di soddisfazione.

FINE

NONO EPISODIO

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