DI
LORENZO
BOSI
Di
solito, i pochi che passavano nei pressi di casa Bosciarqi si tappavano gli
occhi o, per lo meno, si voltavano dall’altra parte per non vedere. E’ naturale,
un’abitazione completamente infestata dalle erbacce non si poteva di certo considerare
uno spettacolo gradevole alla vista.
Ma
per le festività natalizie tutto cambiava. L’orrenda montagnola trasandata si
trasformava un tripudio di decine di grosse palle colorate. Tanto che, con l’aiuto di una
spessa coltre di neve, ciò che per il resto dell’anno era un obbrobrio a cielo
aperto, nel periodo di Natale si trasformava in qualcosa di magico.
Non
al momento però...
Ora
quelle stesse mani, si sarebbero dovute spostare sulle orecchie degli
sventurati passanti. Le voci stridule e stonate che si udivano dalla strada erano
più sgradevoli di una manciata di spilli piantati sui timpani.
Di
certo Alaja e Arame non erano cantanti provetti ma nelle loro condizioni chi lo
sarebbe stato?
Vorrei
vedere voi costretti a cantare, a ciondoloni
di due liane come una coppia di scimmiette ammaestrate.
“Smettete
di lamentarvi. Finché non intonerete bene le canzoni di Natale non scenderete
di lì, com’è vero che mi chiamo Arina”.
La
zia aveva raggiunto il resto della famiglia per le festività.
“Io
sono stanca, fammi scendere”.
“Neanche
per scherzo, Alaja. Anche se hai una voce orrenda devi sforzarti di cantare.
Forza, uno, due, tre”, la donna sollevò le braccia come un maestro d’orchestra
e intonò: “Tu scendi dalle stelle…”
Nessuno
la seguì.
“Basta!
Vi legherò ancora più stretti!”
“ZIA
ARINA!!!”
Tutti
e tre si voltarono verso la porta. I bimbi con occhi speranzosi, la zia invece
aveva lo sguardo contrariato.
Amaranda
e Abien erano appena rientrati, ricoperti dalla neve che, in quel giorno di
vigilia, continuava a scendere senza sosta.
“Sono
scandalizzata! Non è possibile che esistano bambini che non provino gioia a
cantare in questo periodo di festa”.
“Zia,
sicuramente questa non è la maniera giusta!” aggiunse Abien, sfilandosi il
grosso berretto di lana con le orecchie di Topolino.
“Questa
è la dimostrazione che è colpa vostra. Gliele date tutte vinte e sono diventati
viziati e arrogati. E’ una vergogna ma ci penserà Babbo Natale a punirvi”,
proseguì Arina, rivolgendosi ai nipotini. “Non verrà a trovarvi. Dimenticatevi i
regali, non li meritate!”
E
senza attendere risposta, la vecchietta, vestita con una tunica rossa e con la
testa piena di campanelle, se ne andò stizzita in un tintinnio chiassoso.
“Piccoli
cari”, li soccorse la madre.
Lei
e il marito li liberarono dalle liane e li abbracciarono.
“Non
fate caso alla zia. Sapete quanto sia legata alle vecchie tradizioni”.
“Forse
un po’ troppo”, aggiunse Abien.
I
bimbi si sedettero sulle pietre del salotto e rimasero in silenzio.
“C’è
qualcosa che non va?” domandò il signor Bosciarqi.
“Babbo
Natale non ci porterà i regali perché siamo stati cattivi”.
“Mio
piccolo Arame, non preoccuparti, vedrai che verrà come gli anni passati”. Poi
Amaranda si sedette vicino al figlio e gli accarezzò i capelli rossi come
alghe.
“Ad
essere sinceri non l’abbiamo mai visto”, obiettò Alaja. “Chi ci assicura che i
regali non ce li portiate voi?”
“E’
vero. Siamo troppo cattivi e non è mai venuto. Ha ragione zia Arina”.
“Ma
cosa state dicendo? Non mettetevi in testa strane idee”, cercò di rassicurarli
il padre.
Alaja
si alzò.
“Babbo
Natale non ci vuole bene”.
La
bimba si avviò verso l’uscita, seguita dal fratello.
“Andiamo
in camera a riflettere”, aggiunse Arame con la faccia tristissima, prima di
uscire dal soggiorno.
I
genitori rimasero in silenzio per alcuni istanti.
“Poveri
cari, dobbiamo fare qualcosa per loro”.
“Certo
Pandorina mia. La vigilia di Natale nessun bambino dove essere triste”.
“Vado
a chiamare la zia. E’ stata lei a combinare questo pasticcio ed ora dovrà
aiutarci a rimettere a posto le cose”, decise la signora Bosciarqi, prima di
ballonzolare fuori dalla stanza.
In
quel preciso istante entrò Liptolo, la pianta domestica di eucalipto,
completamente decorata a festa e con le foglie vibranti che intonavano
un’allegra “Jingle Bells”.
“Grosso
problema, caro alberello. Hai sentito quello che è successo?”
L’arbusto
interruppe il motivetto e produsse un lungo sibilo.
“Proprio
così, poveri piccoli. Dobbiamo aiutarli. Stasera Babbo Natale dovrà passare di
qui ad ogni costo”.
Liptolo
tornò ad intonare la canzone natalizia ed uscì dalla sala.
Poco
dopo, Amaranda rientro con zia Arina.
La
signora Bosciarqi si era pure cambiata d’abito. L’ampio vestito, rosso e
bianco, che aveva addosso si stringeva alle caviglie. Aveva inoltre scelto un
copricapo a cilindro con un alto pennacchio color argento. Nell’insieme
sembrava proprio una “pallona di Natale” con tanto di gancetto.
“Mi
sento così in colpa”.
Ora
Arina aveva cambiato tono ed atteggiamento. “Sono la causa della tristezza dei
miei amati nipotini”.
“Quel
che è successo, è successo. Capita a tutti di perdere la pazienza”, la consolò
Abien.
“Scendendo
dalla camera, mi sono fermata ad origliare. Sono tutti e due nella cameretta di
Arame e continuano ad accusarsi di essere stati cattivi”.
Anche
Amaranda aveva una nota di tristezza nella voce.
“Dobbiamo
fare qualcosa per far tornare il sorriso a quei due cucciolini”.
“Cosa
possiamo fare, Abien?”, domandò zia Arina.
“Sapete
di cosa si accusano?”, intervenne la signora Bosciarqi. “Arame si sente in
colpa perché in primavera ha accorciato di nascosto l’erba attorno allo stagno
qui in soggiorno mentre Alaja dice che, una volta, è entrata di soppiatto nella
nostra camera per prendere un po’ di miele e, per sbaglio, ha azzoppato con un
dito la zampetta di un’ape. I nostri piccoli sono sull’orlo delle lacrime”.
“Mi
è venuta un’idea”, esultò zia Arina.
Il
sorriso smagliante mise in risalto l’enorme e unico dentone che aveva in bocca.
“Avete ancora la slitta di nonno Aliuro? Con l’aiuto dell’albero vicino a casa la faremo volare”.
Amaranda
e Abien si guardarono per pochi istanti poi annuirono contemporaneamente.
“I
nostri piccoli vedranno il loro adorato Babbo Natale”, concluse la vecchia Arina,
piena di gioia.
La
tristezza di Arame ed Alaja non diminuì nemmeno per cena. Nonostante gli
allegri vestiti da elfi che indossavano, continuavano ad essere certi che Babbo
Natale fosse arrabbiato con loro e che non avrebbero mai più ricevuto alcun
regalo da lui.
“Sono
sicuro che vi sbagliate”, li rassicurò il padre, ancora una volta. Per quella serata
di vigilia si era montato due immense corna di renna, in legno, sulla testa e in
bocca aveva una bizzarra dentiera che riproduceva i mastodontici denti del
grosso erbivoro.
“Vedrete
che vi consegnerà quello che avete chiesto nella letterina”, aggiunse la madre.
“Io
ho una certezza in più. Per me riuscirete anche a vederlo e vi chiedo ancora
scusa per oggi pomeriggio. Non siete voi ad essere cattivi, forse lo sono stata
io, di più”, concluse zia Arina, facendo tintinnare la campanelle sulla testa.
Ma
i due bimbi erano sempre più avviliti e tenevano lo sguardo fisso sulla
tovaglia.
Amaranda
si sollevò a fatica da terra…e li raggiunse.
Eh
sì, per i Bosciarqi ogni pasto era un pic nic domestico. Non avevano sedie e
tavola su cui mangiare quindi apparecchiavano il pavimento erboso del soggiorno
e se ne stavano lì. E a Natale era ancora più bello e suggestivo. Avevano
creato piccoli corsi d’acqua e laghetti dappertutto e la stanza era decorata
con statue in legno e in pietra a grandezza naturale. In poche parole, vivevano
all’interno di un enorme presepe.
“Fatemi
un sorriso”, disse loro la madre.
Fratello
e sorella sollevarono il volto e la guardarono con gli occhioni traboccanti di
dolore.
“Siamo
stati cattivi”.
“No,
Arame, dovete smettere di pensarla in questo modo. Non sappiamo davvero più come
spiegarvelo”.
“Non
meritiamo nulla”, aggiunse Alaja.
“Date
retta a me, ora rimarrete qui a divertirvi un po’. Nel frattempo noi andiamo a
sistemare una della palle all’esterno che sta per cadere. Fidatevi di vostro
padre, stasera sarà una bellissima notte di Natale quindi, via quelle faccine
tristi”.
“Va
bene, papà”, risposero in coro ma senza troppa convinzione.
Una
volta rimasti soli, i due bimbi iniziarono a giocare in assoluto silenzio.
Arame
si tolse i guanti bianchi da elfo e mise le mani in acqua per cercare il suo
piranha. Alaja invece decise di pettinare le statue del presepe.
“Tu
hai detto a qualcuno ciò che hai chiesto a Babbo Natale nella letterina?”,
domandò all’improvviso la sorella dopo un prolungato silenzio.
“No,
non si può mica!”
“Bene,
nemmeno io. Adesso ce lo confideremo così saremo testimoni a vicenda se Babbo
Natale verrà davvero”.
“Non
ti capisco”, obiettò il fratello.
“A
volte mi è capitato che il regalo che avevo chiesto non fosse quello che poi ho
effettivamente ricevuto…”
“Anche
a me, anno scorso, per esempio, avevo chiesto una murena invece ho ricevuto la
casetta per Sdenti. Quando succede così vuol dire che Babbo Natale non è passato?”,
domandò Arame, sempre più interessato al discorso della sorella.
“Ne
sono convinta. Quando non passa, mamma e papà comprano i regali al suo posto
ma, non leggendo la letterina, non possono esaudire i nostri desideri”.
Il
bambino si avvicinò ad Alaja e le sussurrò: “Io ho chiesto una compagna per il
mio piranha così non rimarrà più solo”.
“Io
invece vorrei un torrone di marmo bianco. E’ buonissimo”. La voce monotono
della bimba si fece stridula per un istante.
Fratello
e sorella si scambiarono uno sguardo complice poi tornarono entrambi ai loro
giochi.
All’improvviso
si bloccarono.
“Le
senti anche tu?, domandò Arame.
“Sì,
sembrano tante campanelle”.
“Venite
fuori!”
Udirono
la voce della madre che li chiamava.
I
bimbi uscirono.
Aveva
smesso di nevicare e numerose torce erano sparse per tutto il giardino,
imbiancato di neve fresca.
Il
tintinnio si era fatto più intenso.
“Guardate
in alto”.
Era
ancora la voce della madre anche se non riuscivano a vederla.
Ma
non ci fecero troppo caso soprattutto perché il loro cuore si riempì velocemente
di gioia. Sulle loro teste, videro la slitta volante di Babbo Natale,
stagliarsi contro il cerchio della luna piena.
“Buon
Natale, piccoli cari”.
Per
un attimo ebbero l’impressione di riconoscere quella voce, ma erano troppo
felici per soffermarsi su questo
particolare. Oltretutto li stava salutando con la grossa mano guantata.
Alaja
e Arame si abbracciarono.
Videro
la slitta spostarsi verso il comignolo…Poi però…un cigolio, seguito da un grido.
Il
mezzo volante cominciò ad oscillare paurosamente e a prendere velocità, troppa
velocità. Il rumore di uno schianto, anticipò la caduta di qualche mattone
spezzato. La slitta aveva sbattuto contro il comignolo e l’aveva distrutto. Poi
videro due figure cadere dal soffitto, una sull’altra. In quel groviglio di corpi
e vestiti rossi e bianchi, riconobbero il padre e zia Arina.
“Cosa
state facendo?”, domandò Alaja, completamente disorientata.
“Hai
rovinato ogni cosa. Ti avevo detto di controllare meglio la corda legata
all’albero. Accidenti!”, si adirò la vecchietta, ancora distesa a terra.
“OH,
Santo Cielo!”
In
quel momento sopraggiunse la signora Bosciarqi, vestita anche lei da Babbo
Natale, come gli altri due.
“Bambini
venite in casa”, sbraitò la donna, tentando inutilmente di tappare gli occhi
dei figli…ma ormai era tardi. Arame ed Alaja avevano capito ogni cosa.
“Va
bene”, rispose infatti il bimbo, con voce triste.
“Grazie
per l’impegno ma non lo meritiamo”, proseguì Alaja, amareggiata quanto il
fratello. “Questo significa che siamo stati davvero cattivi e Babbo Natale non
verrà a portarci i regali”.
Genitori
e zia seguirono i bambini e li trovarono seduti sulle pietre del salotto,
prossimi ormai al pianto.
“Noi
volevamo solo anticipare il suo arrivo. Sapete anche voi che deve portare i
regali a tutti i bambini del mondo quindi potrebbe passare molto tardi di qui, a notte inoltrata”,
cercò di giustificarsi il padre.
Poi
guardò la moglie con occhi rassegnati.
Era
andato tutto storto. Eppure avevano studiato tutto nei minimi particolari. Il signor Bosciarqi avrebbe dovuto raggiungere il tetto, lì era posizionata Arina che, col suo corpo scarnito, era già all’interno del comignolo. Avrebbe salutato i nipotini e li avrebbe invitati ad entrare in casa dove Amaranda era corsa davanti al caminetto per accoglierli nelle vesti di Babbo Natale.
Accipicchia, il piano era miseramente fallito!
Accipicchia, il piano era miseramente fallito!
Ma un
nuovo scampanellio, molto più forte del precedente, catturò l’attenzione di
tutti.
Una
luce potente oltrepassò le finestre rotonde.
“NESSUN
BAMBINO E’ CATTIVO”.
Un
vocione, seguito dalla tipica risata di Babbo Natale, echeggiò tra le fronde di
casa Bosciarqi.
Per
un istante Arame ed Alaja ebbero addirittura l’impressione che le statue del
presepe stessero guardando verso di
loro, sorridendo. Poi il chiarore si fece accecante e non videro più nulla.
L’allegra
melodia delle campanelle iniziò, pian piano, ad allontanarsi e,
contemporaneamente, il bagliore si attenuò.
Quando
tutto torno alla normalità, notarono una montagna di regali al centro della
stanza e le statue erano ancora al loro posto.
Da
ogni pacco però si irradiava una gioiosa luce iridescente che illuminava a
festa il meraviglioso presepe di casa.
La
magia del Natale era arrivata in casa Bosciarqi.
Finalmente
anche Alaja ed Arame erano al culmine della gioia.
BUON NATALE A TUTTI
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