Visualizzazioni totali

giovedì 24 novembre 2016

SCAMBIO DI FAVORI...CON SORPRESA

Di
Lorenzo Bosi


I Bosciarqi giunsero all’appuntamento in perfetto orario.
Amaranda entrò nell’ufficio del sindaco con la testa fasciata da una banda elastica, decorata da una dozzina di vasetti di fiori veri. Il vestito era bianco a righe orizzontali di tutti i colori e lasciava intravvedere le ginocchia cicciottelle.
Abjen invece aveva il solito completo rosso, l’unico capo in suo possesso che avesse un minimo di eleganza. Ma, al posto dei consueti riporti, si era infilato un paio di guanti verdi, lunghi fin oltre il gomito.
“Eccoli! Sono questi i due pazzi!”.
Il loro arrivo fu seguito, a breve distanza, dall’irruzione di un cittadino infuriato.
“Ho visto quella bestiaccia legata fuori dal municipio e sono salito di corsa. Questi matti mi devono rimborsare il danno all’auto!”
“Cos’è successo?”, domandò Mino, alzandosi dalla sedia.
I due Bosciarqi, si guardarono con occhi stupiti. “Era lei che continuava a strombazzare”, intervenne Amaranda.
“Non si può bloccare il traffico con un enorme giraffa”, strepitò l’uomo, gesticolando come un forsennato. “La gente ha degli impegni. In genere, le persone normali, non stanno a ciondolare tutto il giorno come fate voi. Io dovevo andare a prendere mio figlio a scuola e il vostro animalaccio ha assestato un bel calcio alla portiera dell’auto! Ma io vi denuncio!”
“Calma, calma!”, si inserì il sindaco. “Le chiedo di tornare più tardi ma sono sicuro che presto otterremo grandi soddisfazioni in questo senso”.
Mino sorrise sotto i baffi. Aveva l’asso nella manica che gli avrebbe permesso di sbarazzarsi di quella strana famiglia, una volta per tutte.
“Va bene. Io me ne vado ma non finisce qui! Ve lo prometto!”, schiamazzò l’uomo, puntando il dito contro i coniugi. Poi uscì dall’ufficio come una furia.
Il sindaco però avrebbe dovuto giocare bene le carte a sua disposizione, in caso contrario, tutto il progetto sarebbe andato a monte.
Il consiglio stava per approvare la costruzione di un imponente complesso abitativo proprio vicino a casa Bosciarqi. Una gigantesca semiluna di cemento armato che avrebbe circondato e oscurato l’obbrobriosa abitazione di quella stramba famiglia.
Mino era certo che non l’avrebbero mai sopportato. Era quindi inevitabile che se ne sarebbero andati e, finalmente, tutta Freudaccio avrebbe tirato un sospiro di sollievo.
Il semplice pensiero di quel trionfo lo fece ridere ad alta voce. Poi però riprese subito il controllo delle sue azioni.
“Benarrivati”, li accolse con un sorriso falso come le sue promesse elettorali.
“Grazie signor sindaco. A cosa dobbiamo l’onore del suo invito?”
“Signor Bosciarqi, vi ho convocati per comunicarvi una splendida novità. Una cosa che renderà felici voi quanto me”.
Allargò la bocca da orecchio ad orecchio ed aggiunse: “Il consiglio ha approvato il progetto per l’edificazione di un ricovero per animali abbandonati”.
“E’ un’idea meravigliosa”, gioì Amaranda, congiungendo le mani sotto al mento.
“Sapevo che avreste accolto questa notizia con grande entusiasmo ed è questa la ragione che ha convinto me e l’intero consiglio comunale a costruire il grande edificio proprio vicino a casa vostra”, spiegò Mino. “Questo sarà solo il primo passo del mio grande progetto di rendere Freudaccio una cittadina a stretto contatto con la natura. Proprio come lo siete voi”, rincarò la dose.
Al colmo della gioia, la signora Bosciarqi, scavalcò la scrivania con un balzo e si scaraventò sul povero sindaco, baciandolo ripetutamente.
“Calma, calma signora. Capisco la sua contentezza ma non per questo mi deve uccidere”.
Ma, sotto al duplice peso, la vecchia sedia non resistette e si fracassò in mille pezzi.
Mino cadde a terra e l’enorme Amaranda precipitò su di lui.
“Ci permetta di aiutarla”.
“Certo, certo…con molto piacere, signor Bosciarqi ma…per favore mi dia una mano a sollevare la sua signora, immediatamente”  
La donna si alzò da sola con sorprendente velocità.
“Signor sindaco, domani farò venire qui i nostri teneri figlioletti con uno splendido regalo per lei. Vedrà come sarà facile e rapido dare un’impronta ecologista alla nostra splendida città”.
“Con molto piacere, signora”, tagliò corto il sindaco pur di liberarsi al più presto di quei due matti.

Il pomeriggio successivo, Mino era seduto nell’ufficio tecnico, di fronte al geometra comunale.
“Signor sindaco, è sicuro di quello che sta facendo?
“Le assicuro che pur di liberarmi di quella banda di squilibrati sarei disposto a qualsiasi cosa e, dopo tutto, si tratta del regalo di due bambini, cosa mai potranno combinare?”
“Sì, sì ma non di bambini comuni, sono comunque due Bosciarqi”, cercò di metterlo in guardia, Ennio.
Mino accantonò il discorso con un gesto del braccio.
“Pensa piuttosto a come reagiranno quando si ritroveranno il loro raccapricciante tugurio avvolto da una barriera di cemento armato”.
I due uomini risero a squarciagola.
“Se la daranno a gambe levate”.
“Proprio cosi, Ennio ed è quello che io voglio anzi, quello che tutta Freudaccio vuole”.
Il sindaco lasciò il tecnico agli impegni lavorativi e raggiunse il suo ufficio. Abbassò la maniglia ma, con stupore, constatò che la porta era chiusa dall’interno.
“Cosa state combinando? Fatemi entrare”, gridò in preda all’ira. Poi però gli tornò in mente lo scopo di quella concessione e cambiò tono: “Bambini cari, dovrei entrare in ufficio”.
“Non è possibile, sindaco. Noi abbiamo quasi terminato ma non si potrà entrare qui dentro prima di due giorni”, gli rispose la voce monotono di Alaja.
Mino tremò dalla rabbia. Non si sentiva più tanto sicuro di aver avuto una buona idea ma si impose di non perdere le staffe. Ogni sacrificio sarebbe stato ripagato…e con gli interessi, poi anche! Decise quindi di fare un salto nell’ufficio anagrafe dov’era stata appena assunta una giovanissima e avvenente impiegata. Le curve della ragazza l’avrebbero distratto un po’.
“SINDACO!”
L’uomo, che stava scendendo la vecchia scalinata, si voltò e vide Arame sul pianerottolo. I lunghi capelli rossi del bimbo erano legati sulla sommità del capo. Ma, soprattutto, al posto delle scarpe calzava un paio di enormi pinne.
“Bravi bambini, avete finito? Dov’è tua sorella?”
“Sì ma, come ti abbiamo detto, per vedere il nostro regalo dovrai aspettare almeno due giorni”.
“Ma io non posso aspettare nemmeno un secondo, mi dispiace”, rispose Mino, secco.
“Ci dispiace a noi ma tu non entrerai”, intervenne Alaja che era appena arrivata. “Questa la teniamo noi”. E mise in bocca la chiave dell’ufficio.
“Va bene, vedo che siete dei bambini…” deglutì rumorosamente, “…dolcissimi quindi farò come dite”, rispose Mino, col sorriso più finto di una maschera di carnevale.
Conoscendo la bizzarria dei Bosciarqi, decise di non contraddirli. Dopo tutto, cosa sarebbero mai stati due giorni se poi si fosse liberato per sempre di loro? Una concessione più che tollerabile, ripeté a sé stesso.
“Allora vi saluto”.
Mino posò una mano sul capo della bimba e provò ad arruffarle simpaticamente ciò che, a prima vista, gli sembravano essere i capelli.
“Cos’è?”
L’uomo ritrasse la mano di scatto. La calotta di pietra sulla testa di Alaja si era spostata, rivelando il cranio completamente calvo.
“A forza di mangiare sassi, i capelli le sono diventati duri come macigni”, spiegò Arame con la massima naturalezza. Il bimbo porse la mano al sindaco per salutarlo…
“Che guanti sono? Orren…”
Alla vista delle dita palmate del piccolo Bosciarqi, il primo cittadino rimase sconvolto per la seconda volta in pochi secondi.
“Non sono guanti”, spiegò stavolta Alaja. “Ha le mani così perché passa tutto il tempo a bagno, nella palude di casa”.
I giovani Bosciarqi scesero le scale e uscirono dal municipio, lasciando il sindaco senza parole.
“Sto facendo tutto questo per il bene della città e di me stesso”, sussurrò Mino, a denti stretti.
“Se riuscirò a liberare Freudaccio da questi pazzi scatenati, sono sicuro che vincerò anche le prossime elezioni”.
Il sindaco fece un ghigno di trionfo e si diresse all’ufficio anagrafe.

Amaranda e Abien entrarono nella sala d’aspetto che era stata, provvisoriamente, adibita ad ufficio del primo cittadino.
Mino si alzò dalla sedia.
“Finalmente avrò il piacere di scoprire il vostro regalo”.
“Certo e le annuncio che noi non abbiamo perso tempo. L’intero progetto sta per essere realizzato”.
Il sindaco preferì soprassedere sulle parole di Abien…era troppo preoccupato di comprenderne il vero significato.
Amaranda estrasse la chiave dalla borsetta gialla e raggiunse la porta dell’ufficio.
“Si tenga stretto, non crederà ai suoi occhi”, annunciò la donna col viso grasso illuminato da un sorriso smagliante. Poi la inserì nella toppa ed aprì le due ante con un gesto teatrale.
“I nostri due tesorini hanno proprio la stoffa degli architetti”, gioì la signora Bosciarqi.
Abien entrò per primo nella stanza, calpestando l’erba alta che aveva già coperto ogni cosa.
“Non potevamo chiedere niente di meglio ad Arame ed Alaja anzi, a dire la verità, signor sindaco ammetto che la invidio e non poco. Adesso il suo ufficio è addirittura più bello di casa nostra”.
Poi l’uomo si abbassò e raccolse un piccolo serpente.
“OH, SANTO CIELO!”, reagì il Mino, terrorizzato.
“No, non si preoccupi. Non rimarrà qui prigioniero a lungo”.
Amaranda accarezzò dolcemente la testa del rettile che reagì, aprendo le fauci. “Quando il progetto sarà esteso a tutta la città anche questo dolcissimo animaletto sarà libero di scorrazzare ovunque. Per il momento però dovrà rimanere qui a tenere sotto controllo i topi”.
“A…tutta…la…città?”, balbettò il sindaco.
“Certo, venga a vedere”.
Abien lo invitò a raggiungere la finestra. “Faccia attenzione a non calpestare l’altro serpente”.
Mino avanzò come se stesse camminando su un pavimento di uova e, quando si affacciò, vide un grosso camion che spargeva granelli di chissà cosa sulla piazza davanti al municipio.
Amaranda fece un cenno di saluto in direzione del mezzo. Questo si fermò e dal finestrino spuntò una vecchietta dalla pelle grinzosa e coi capelli bianchi raccolti in una crocchia malfatta.
“Zia Arina tutto bene?”
“Sì, piccola mia”, rispose l’autista, mettendo in mostra l’unico dente aguzzo che aveva in bocca. “Gli altri camion stanno spandendo il mio super fertilizzante nel resto della città”.
Poi richiuse il finestrino e tornò al lavoro.
“Zia Arina ha realizzato un fertilizzante prodigioso. In due giorni, Freudaccio sarà seppellita dalla vegetazione”.
“Proprio così, caro e il nostro amato sindaco vedrà realizzato il grande sogno di avere una città immersa nella natura”, proseguì Amaranda. “Non è meraviglioso?”
La donna si voltò in direzione Mino.
“Dov’è andato?”, domandò, non vedendolo più al suo fianco.
“Probabilmente non ha retto alla gioia”, considerò Abien, indicando l’uomo disteso a terra, privo di conoscenza.

“Sono estremamente addolorata per il nostro povero sindaco”, si crucciò la signora Bosciarqi, fermando il rastrello con cui stava raccogliendo l’erba del salotto. “Non capisco proprio cosa l’abbia spinto a dimettersi senza preavviso”.
“Hai ragione, gioiellino mio e, purtroppo, chi l’ha sostituito, ha già estirpato tutta l’erba che era cresciuta in città. Sarò avvilito. Secondo me dovremmo andare a casa sua a dimostrargli la nostra vicinanza”.
Abien stava ammucchiando l’erba secca vicino all’uscita.
“Hai sempre idee meravigliose, caro. Senza contare che hanno accantonato anche il suo grande progetto per il ricovero degli animali. Ora più che mai ha bisogno del nostro sostegno, il cuore del povero Mino sarà infranto dal dolore”.
“Purtroppo Freudaccio non è ancora pronta per un bravo sindaco come lui. Ma non perdiamo tempo, andiamo a trovarlo”, ribadì il signor Bosciarqi.
“Arrivo subito Abien, nel frattempo tu prepara Malassa”.

FINE

QUINTO EPISODIO
)

Nessun commento:

Posta un commento