Di
Lorenzo
Bosi
I
Bosciarqi giunsero all’appuntamento in perfetto orario.
Amaranda entrò nell’ufficio del sindaco con la testa fasciata da una banda
elastica, decorata da una dozzina di vasetti di fiori veri. Il vestito era
bianco a righe orizzontali di tutti i colori e lasciava intravvedere le
ginocchia cicciottelle.
Abjen
invece aveva il solito completo rosso, l’unico capo in suo possesso che avesse
un minimo di eleganza. Ma, al posto dei consueti riporti, si era infilato un
paio di guanti verdi, lunghi fin oltre il gomito.
“Eccoli!
Sono questi i due pazzi!”.
Il
loro arrivo fu seguito, a breve distanza, dall’irruzione di un cittadino
infuriato.
“Ho
visto quella bestiaccia legata fuori dal municipio e sono salito di corsa.
Questi matti mi devono rimborsare il danno all’auto!”
“Cos’è
successo?”, domandò Mino, alzandosi dalla sedia.
I
due Bosciarqi, si guardarono con occhi stupiti. “Era lei che continuava a
strombazzare”, intervenne Amaranda.
“Non
si può bloccare il traffico con un enorme giraffa”, strepitò l’uomo,
gesticolando come un forsennato. “La gente ha degli impegni. In genere, le
persone normali, non stanno a ciondolare tutto il giorno come fate voi. Io
dovevo andare a prendere mio figlio a scuola e il vostro animalaccio ha
assestato un bel calcio alla portiera dell’auto! Ma io vi denuncio!”
“Calma,
calma!”, si inserì il sindaco. “Le chiedo di tornare più tardi ma sono sicuro
che presto otterremo grandi soddisfazioni in questo senso”.
Mino
sorrise sotto i baffi. Aveva l’asso nella manica che gli avrebbe permesso di
sbarazzarsi di quella strana famiglia, una volta per tutte.
“Va
bene. Io me ne vado ma non finisce qui! Ve lo prometto!”, schiamazzò l’uomo,
puntando il dito contro i coniugi. Poi uscì dall’ufficio come una furia.
Il
sindaco però avrebbe dovuto giocare bene le carte a sua disposizione, in caso
contrario, tutto il progetto sarebbe andato a monte.
Il
consiglio stava per approvare la costruzione di un imponente complesso
abitativo proprio vicino a casa Bosciarqi. Una gigantesca semiluna di cemento
armato che avrebbe circondato e oscurato l’obbrobriosa abitazione di quella
stramba famiglia.
Mino
era certo che non l’avrebbero mai sopportato. Era quindi inevitabile che se ne
sarebbero andati e, finalmente, tutta Freudaccio avrebbe tirato un sospiro di
sollievo.
Il
semplice pensiero di quel trionfo lo fece ridere ad alta voce. Poi però riprese
subito il controllo delle sue azioni.
“Benarrivati”,
li accolse con un sorriso falso come le sue promesse elettorali.
“Grazie
signor sindaco. A cosa dobbiamo l’onore del suo invito?”
“Signor
Bosciarqi, vi ho convocati per comunicarvi una splendida novità. Una cosa che
renderà felici voi quanto me”.
Allargò
la bocca da orecchio ad orecchio ed aggiunse: “Il consiglio ha approvato il
progetto per l’edificazione di un ricovero per animali abbandonati”.
“E’
un’idea meravigliosa”, gioì Amaranda, congiungendo le mani sotto al mento.
“Sapevo
che avreste accolto questa notizia con grande entusiasmo ed è questa la ragione
che ha convinto me e l’intero consiglio comunale a costruire il grande edificio
proprio vicino a casa vostra”, spiegò Mino. “Questo sarà solo il primo passo
del mio grande progetto di rendere Freudaccio una cittadina a stretto contatto
con la natura. Proprio come lo siete voi”, rincarò la dose.
Al
colmo della gioia, la signora Bosciarqi, scavalcò la scrivania con un balzo e
si scaraventò sul povero sindaco, baciandolo ripetutamente.
“Calma,
calma signora. Capisco la sua contentezza ma non per questo mi deve uccidere”.
Ma,
sotto al duplice peso, la vecchia sedia non resistette e si fracassò in mille
pezzi.
Mino
cadde a terra e l’enorme Amaranda precipitò su di lui.
“Ci
permetta di aiutarla”.
“Certo,
certo…con molto piacere, signor Bosciarqi ma…per favore mi dia una mano a sollevare
la sua signora, immediatamente”
La
donna si alzò da sola con sorprendente velocità.
“Signor
sindaco, domani farò venire qui i nostri teneri figlioletti con uno splendido
regalo per lei. Vedrà come sarà facile e rapido dare un’impronta ecologista
alla nostra splendida città”.
“Con
molto piacere, signora”, tagliò corto il sindaco pur di liberarsi al più presto
di quei due matti.
Il
pomeriggio successivo, Mino era seduto nell’ufficio tecnico, di fronte al
geometra comunale.
“Signor
sindaco, è sicuro di quello che sta facendo?
“Le
assicuro che pur di liberarmi di quella banda di squilibrati sarei disposto a
qualsiasi cosa e, dopo tutto, si tratta del regalo di due bambini, cosa mai
potranno combinare?”
“Sì,
sì ma non di bambini comuni, sono comunque due Bosciarqi”, cercò di metterlo in
guardia, Ennio.
Mino
accantonò il discorso con un gesto del braccio.
“Pensa
piuttosto a come reagiranno quando si ritroveranno il loro raccapricciante
tugurio avvolto da una barriera di cemento armato”.
I
due uomini risero a squarciagola.
“Se
la daranno a gambe levate”.
“Proprio
cosi, Ennio ed è quello che io voglio anzi, quello che tutta Freudaccio vuole”.
Il
sindaco lasciò il tecnico agli impegni lavorativi e raggiunse il suo ufficio. Abbassò
la maniglia ma, con stupore, constatò che la porta era chiusa dall’interno.
“Cosa
state combinando? Fatemi entrare”, gridò in preda all’ira. Poi però gli tornò
in mente lo scopo di quella concessione e cambiò tono: “Bambini cari, dovrei
entrare in ufficio”.
“Non
è possibile, sindaco. Noi abbiamo quasi terminato ma non si potrà entrare qui
dentro prima di due giorni”, gli rispose la voce monotono di Alaja.
Mino
tremò dalla rabbia. Non si sentiva più tanto sicuro di aver avuto una buona
idea ma si impose di non perdere le staffe. Ogni sacrificio sarebbe stato
ripagato…e con gli interessi, poi anche! Decise quindi di fare un salto nell’ufficio
anagrafe dov’era stata appena assunta una giovanissima e avvenente impiegata.
Le curve della ragazza l’avrebbero distratto un po’.
“SINDACO!”
L’uomo,
che stava scendendo la vecchia scalinata, si voltò e vide Arame sul
pianerottolo. I lunghi capelli rossi del bimbo erano legati sulla sommità del
capo. Ma, soprattutto, al posto delle scarpe calzava un paio di enormi pinne.
“Bravi
bambini, avete finito? Dov’è tua sorella?”
“Sì
ma, come ti abbiamo detto, per vedere il nostro regalo dovrai aspettare almeno
due giorni”.
“Ma
io non posso aspettare nemmeno un secondo, mi dispiace”, rispose Mino, secco.
“Ci
dispiace a noi ma tu non entrerai”, intervenne Alaja che era appena arrivata.
“Questa la teniamo noi”. E mise in bocca la chiave dell’ufficio.
“Va
bene, vedo che siete dei bambini…” deglutì rumorosamente, “…dolcissimi quindi
farò come dite”, rispose Mino, col sorriso più finto di una maschera di
carnevale.
Conoscendo
la bizzarria dei Bosciarqi, decise di non contraddirli. Dopo tutto, cosa
sarebbero mai stati due giorni se poi si fosse liberato per sempre di loro? Una
concessione più che tollerabile, ripeté a sé stesso.
“Allora
vi saluto”.
Mino
posò una mano sul capo della bimba e provò ad arruffarle simpaticamente ciò che,
a prima vista, gli sembravano essere i capelli.
“Cos’è?”
L’uomo
ritrasse la mano di scatto. La calotta di pietra sulla testa di Alaja si era
spostata, rivelando il cranio completamente calvo.
“A
forza di mangiare sassi, i capelli le sono diventati duri come macigni”, spiegò
Arame con la massima naturalezza. Il bimbo porse la mano al sindaco per
salutarlo…
“Che
guanti sono? Orren…”
Alla
vista delle dita palmate del piccolo Bosciarqi, il primo cittadino rimase
sconvolto per la seconda volta in pochi secondi.
“Non
sono guanti”, spiegò stavolta Alaja. “Ha le mani così perché passa tutto il
tempo a bagno, nella palude di casa”.
I
giovani Bosciarqi scesero le scale e uscirono dal municipio, lasciando il sindaco
senza parole.
“Sto
facendo tutto questo per il bene della città e di me stesso”, sussurrò Mino, a denti stretti.
“Se
riuscirò a liberare Freudaccio da questi pazzi scatenati, sono sicuro che
vincerò anche le prossime elezioni”.
Il
sindaco fece un ghigno di trionfo e si diresse all’ufficio anagrafe.
Amaranda
e Abien entrarono nella sala d’aspetto che era stata, provvisoriamente, adibita
ad ufficio del primo cittadino.
Mino
si alzò dalla sedia.
“Finalmente
avrò il piacere di scoprire il vostro regalo”.
“Certo
e le annuncio che noi non abbiamo perso tempo. L’intero progetto sta per essere
realizzato”.
Il
sindaco preferì soprassedere sulle parole di Abien…era troppo preoccupato di
comprenderne il vero significato.
Amaranda
estrasse la chiave dalla borsetta gialla e raggiunse la porta dell’ufficio.
“Si
tenga stretto, non crederà ai suoi occhi”, annunciò la donna col viso grasso
illuminato da un sorriso smagliante. Poi la inserì nella toppa ed aprì le due
ante con un gesto teatrale.
“I
nostri due tesorini hanno proprio la stoffa degli architetti”, gioì la signora
Bosciarqi.
Abien
entrò per primo nella stanza, calpestando l’erba alta che aveva già coperto
ogni cosa.
“Non
potevamo chiedere niente di meglio ad Arame ed Alaja anzi, a dire la verità, signor
sindaco ammetto che la invidio e non poco. Adesso il suo ufficio è addirittura
più bello di casa nostra”.
Poi
l’uomo si abbassò e raccolse un piccolo serpente.
“OH,
SANTO CIELO!”, reagì il Mino, terrorizzato.
“No,
non si preoccupi. Non rimarrà qui prigioniero a lungo”.
Amaranda
accarezzò dolcemente la testa del rettile che reagì, aprendo le fauci. “Quando
il progetto sarà esteso a tutta la città anche questo dolcissimo animaletto
sarà libero di scorrazzare ovunque. Per il momento però dovrà rimanere qui a
tenere sotto controllo i topi”.
“A…tutta…la…città?”,
balbettò il sindaco.
“Certo,
venga a vedere”.
Abien
lo invitò a raggiungere la finestra. “Faccia attenzione a non calpestare
l’altro serpente”.
Mino
avanzò come se stesse camminando su un pavimento di uova e, quando si affacciò,
vide un grosso camion che spargeva granelli di chissà cosa sulla piazza davanti
al municipio.
Amaranda
fece un cenno di saluto in direzione del mezzo. Questo si fermò e dal
finestrino spuntò una vecchietta dalla pelle grinzosa e coi capelli bianchi
raccolti in una crocchia malfatta.
“Zia
Arina tutto bene?”
“Sì,
piccola mia”, rispose l’autista, mettendo in mostra l’unico dente aguzzo che
aveva in bocca. “Gli altri camion stanno spandendo il mio super fertilizzante
nel resto della città”.
Poi
richiuse il finestrino e tornò al lavoro.
“Zia
Arina ha realizzato un fertilizzante prodigioso. In due giorni, Freudaccio sarà
seppellita dalla vegetazione”.
“Proprio
così, caro e il nostro amato sindaco vedrà realizzato il grande sogno di avere
una città immersa nella natura”, proseguì Amaranda. “Non è meraviglioso?”
La
donna si voltò in direzione Mino.
“Dov’è
andato?”, domandò, non vedendolo più al suo fianco.
“Probabilmente
non ha retto alla gioia”, considerò Abien, indicando l’uomo disteso a terra,
privo di conoscenza.
“Sono
estremamente addolorata per il nostro povero sindaco”, si crucciò la signora
Bosciarqi, fermando il rastrello con cui stava raccogliendo l’erba del salotto.
“Non capisco proprio cosa l’abbia spinto a dimettersi senza preavviso”.
“Hai
ragione, gioiellino mio e, purtroppo, chi l’ha sostituito, ha già estirpato
tutta l’erba che era cresciuta in città. Sarò avvilito. Secondo me dovremmo
andare a casa sua a dimostrargli la nostra vicinanza”.
Abien
stava ammucchiando l’erba secca vicino all’uscita.
“Hai
sempre idee meravigliose, caro. Senza contare che hanno accantonato anche il
suo grande progetto per il ricovero degli animali. Ora più che mai ha bisogno
del nostro sostegno, il cuore del povero Mino sarà infranto dal dolore”.
“Purtroppo
Freudaccio non è ancora pronta per un bravo sindaco come lui. Ma non perdiamo
tempo, andiamo a trovarlo”, ribadì il signor Bosciarqi.
“Arrivo
subito Abien, nel frattempo tu prepara Malassa”.
FINE
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