Di
Lorenzo
Bosi
Mino,
il sindaco di Freudaccio, osservava con interesse il montaggio del tendone
giallo e rosso del circo che, il giorno successivo, avrebbe iniziato gli
spettacoli in programma.
Insieme
a lui c’era pure Manlio, uno dei tre vigili urbani rimasti nella cittadina dopo
la restrittiva revisione delle spese operata dal governo.
Uno
vicino all’altro, i due uomini sembravano il classico articolo ‘il’, anzi no. A
guardarli meglio erano molto più simili al meno popolare articolo ‘lo’.
Mino
era alto e magro. Manlio, all’opposto, era tozzo; ciò che gli mancava in
altezza, il vigile lo recuperava in larghezza tanto che la divisa d’ordinanza
era sempre sul punto di scoppiargli addosso.
“Ho
chiesto al padrone del circo di invitare i Bosciarqi come ospiti d’onore”,
stava spiegando il sindaco. “Voglio vedere come reagiranno quando saranno
chiamati ad affrontare delle vere bestie selvatiche”.
Il
vigile sghignazzò.
“Ha
fatto bene, signor sindaco. Secondo me la loro vita è tutta una pagliacciata.
Hanno trovato il modo di vivere senza lavorare”.
“Eh
già, con tutti quei servizi televisivi, le ospitate e gli articoli su giornali
e riviste stanno facendo un sacco di soldi”, concordò Mino.
“Non
è giusto nei confronti di chi fatica ogni giorno per guadagnarsi lo stipendio”.
Il
sindaco guardò l’uomo sottecchi. Manlio non era certo l’esempio lampante di
lavoratore infaticabile. Ad ogni modo preferì non farne parola.
“Domani
pomeriggio verranno finalmente smascherati e in diretta televisiva, oltretutto!
Ho chiesto a diverse emittenti locali di raggiungere il circo per riprendere
l’evento e, come immaginavo, molte hanno accettato. Ci sarà da divertirsi,
vecchio mio!”
Il
vigile rise, soddisfatto.
“Mi
raccomando, acqua in bocca!”, concluse Mino.
I
Bosciarqi accettarono l’invito con grande entusiasmo.
“Tutti
a bordo della nostra Malassa!”, annunciò Abien.
La
famiglia era agghindata per le migliori occasioni. Erano impazienti ed
emozionati di assistere al primo spettacolo circense come ospiti d’onore, per
questa ragione, si erano preparati al meglio.
Abien
aveva aggiunto dei nuovissimi riporti gialli alle maniche e ai pantaloni del suo
completo rosso preferito.
“Arrivo,
sono pronta”.
Alaja
uscì di casa con gonna e camicetta – pur sempre verdi – ma appena comprate.
Aveva però deciso di non indossare la calotta di pietra che, a causa
dell’alimentazione a base di sassi, aveva sostituito i suoi capelli neri. Il
suo posto era stato preso da Frulla, la puzzola, che si era raggomitolata sulla
testa della bimba a sonnecchiare un po’.
Una
vero e proprio berretto vivente.
“Mi
sta bene?”, domandò al fratello.
“Che
bella idea. Peccato che non possa fare la stessa cosa con Sdenti”, rispose lui,
mostrando il vaso trasparente in cui nuotava il suo affezionato piranha.
Coi
vestiti addosso, Arame era davvero impacciato. Soprattutto faticava a camminare.
Nonostante gli calzassero a pennello aveva la grazia di un pagliaccio dalle
scarpe gigantesche.
Un
vero spasso.
Abien
aiutò la moglie. Il vestito elasticizzato, rosa a pois arancioni che aveva
scelto per la serata, le stava troppo stretto, così l’uomo dovette praticamente
issarla di peso sul carretto, agganciato al dorso della giraffa.
Amaranda
si posizionò al centro dei suoi quattro alveari. Voleva che anche le sue
adorate apine si godessero una serata fuori casa.
I
figli e il signor Bosciarqi invece salirono sulla groppa del grande animale.
“Si
parte!”, annunciò la donna. “Sono molto emozionata”.
La
famiglia uscì dal cancello e si diresse al centro della cittadina dove il
tendone del circo era pronto ad accogliere i numerosi spettatori che già
facevano la fila alla biglietteria.
“Eccoli”,
si udì tra la folla.
Numerose
telecamere s’accalcarono attorno agli ospiti d’onore. Insieme ad esse, giunse
anche un nutrito gruppo di curiosi.
“Siete
pronte per…”
Ma
il giornalista non riuscì a terminare la frase.
La
confusione generata dalla ressa, innervosì la giraffa che diede un brusco
strattone. A questo punto, ciò che tutti avevano scambiato per il berretto di
Alaja scattò in avanti e mostrò i denti affilati. Frulla era sul piede di
guerra.
Colti
di sorpresa e spaventati dal minaccioso animaletto, chi era in prima fila
arretrò, gettandosi su chi stava di dietro. Effetto domino assicurato. Molti si
trovarono a terra senza nemmeno rendersene conto.
I
Bosciarqi risero di gusto.
“Che
carini”, commentò Amaranda. “Si tratta senz’altro di un assaggio dello
spettacolo”.
“Certo
cara, le premesse mi sembrano ottime”, concordò il marito.
Avanzarono
tra la folla ancora distesa a terra che prontamente si ritirava per evitare i
pericolosi zoccoli della giraffa.
La
signora Bosciarqi continuò a salutare e a sorridere, con fare da grande diva, a
chiunque le passasse a fianco.
L’intera
famiglia, con animali a seguito, venne quindi condotta all’interno del circo da
un apposito passaggio, a loro riservato. Avevano inoltre poltroncine separate,
ad una certa distanza dalla platea…e certo, sareste tranquilli se vi trovaste vicino
ad una puzzola, ad una giraffa e a ben quattro alveari, sovraccarichi di api
armate di pungiglione?
Domanda
idiota a cui fa seguito una risposta scontata.
CERTO
CHE NO.
E
infatti, gli abitanti di Freudaccio si posizionarono il più lontano possibile
dai Bosciarqi.
Ad
ogni modo, lo spettacolo iniziò in perfetto orario.
I
primi ad entrare nella pista circolare, furono gli acrobati con le loro tute
elasticizzate multicolore. Veramente bravi. Sembravano volteggiare nell’aria
con la leggiadria di un gruppo di farfalle e gli spettatori seguirono le loro
evoluzioni emettendo ripetute esclamazioni di stupore.
Ad
essi seguirono i clown che scatenarono un allegra sinfonia di risate corali.
I
numeri si susseguirono a ritmo incalzante finché, nel corso della prima pausa,
vennero innalzate grosse inferriate intorno alla pista.
“A
cosa servono?”, domandò Arame.
“Non
lo so”, le rispose la sorella.
Ma
i loro dubbi vennero presto chiariti dalla voce del presentatore.
“Signore
e signori, è giunta l’ora tanto attesa. Tra poco potrete ammirare le nostre
meravigliose tigri del Bengala. Mestose e letali!”
“Non
capisco perché abbiano messo quelle sbarre”, si domandò Alaja.
“Secondo
me devono superarle con un salto”.
La
risposta di Arame venne sovrastata dalla voce del presentatore.
“So
che qui, insieme a noi, abbiamo la famiglia più famosa di Freudaccio e so anche
che sono gli amanti della natura per eccellenza. Mi è stato detto che riescono
addirittura a parlare con gli animali. Ci credete voi?”, domandò alla folla,
senza nascondere una certa ironia. Diede poi un’occhiata alla cartellina che teneva
in mano e proseguì: “Ecco qua, si tratta della famiglia Bosciarqi. Sarebbe un
grandissimo onore per me e per il mio circo, se un componente di questa strana
famiglia potesse raggiungermi qui, al centro della pista. Voglio vedere se
riusciranno a non tremare al cospetto delle nostre tigri fameliche”.
Mino
e Manlio, che erano presenti allo spettacolo, con le rispettive famiglie, si
guardarono di sbieco e scambiarono un sorriso complice.
“Chi
si crede di essere, quello sbruffone?”, protestò Amaranda.
La
donna si alzò dalla sedia e scese le scale con impeto. Da lontano, sembrava una
grossa palla che rimbalzava su ogni gradino.
“Benarrivata”,
la accolse l’uomo. “Lei è senz’altro la signora Bosciarqi”.
Poco
dopo, giunsero anche gli ammaestratori, armati di lunghe fruste.
“Quelle
a cosa servono?”, domandò la donna, sbigottita, indicando le armi che i tre
uomini tenevano in mano.
Nessuno
le rispose.
“Bene.
Ora faremo entrare le belve feroci. Buon divertimento”.
Il
presentatori uscì di corsa dalla pista.
Sotto
il tendone del circo calò il massimo silenzio.
Con
l’ingresso delle bestie feroci, l’attenzione della platea crebbe a dismisura e
le telecamere si addossarono l’un l’altra, vicinissime alle transenne.
I
ruggiti echeggiarono minacciosi e fecero rabbrividire i presenti.
I
domatori fecero schioccare le fruste.
“Ma
cosa state facendo? Perché le picchiate?”
Amaranda
non attese risposta. Era troppo arrabbiata per il maltrattamento nei confronti
di quelle povere bestie così, in men che non si dica, balzellò verso uno dei
uomini e gli saltò sulle schiena.
Il
malcapitato gridò. Girò su stesso poi cadde a terra sotto il peso della donna.
Tanto bastò per distrarre i due colleghi. Ma quando si resero conto dell’errore,
le belve feroci stavano già avanzando verso di loro con le fauci spalancate.
I
crepitii delle fruste saettarono nell’aria ancora una volta e colpirono i
bersagli. Le tigri guairono per il dolore.
“Voi
siete matti! Delinquenti”, gridò la signora Bosciarqi. Poi la sua bocca si
allargò in maniera innaturale. Sembrava fatta di gomma.
Con
il corpo iniziò quindi a vibrare come una lavatrice impazzita.
“...OPS…”,
sussultarono gli altri componenti della famiglia Bosciarqi.
Già
conoscevano le conseguenze.
Mai
fare arrabbiare Amaranda.
Giornalisti
e fotografi non volevano perdersi un solo istante di quanto stava succedendo.
Il sesto senso suggeriva loro che poteva rivelarsi un grosso scoop!
La
testa della signora Bosciarqi si piegò all’indietro.
Un
gorgoglio che divenne sempre più forte s’innalzò dal centro della pista.
Un
vulcano in eruzione.
Il
viso della donna si gonfiò smisuratamente e divenne rosso come un pomodoro
maturo.
Anche
le tigri si immobilizzarono.
Un
attimo di silenzio.
All’improvviso,
fiotti di colore verde zampillarono altissimi dal naso e dalle orecchie di
Amaranda, imbrattando ogni cosa di una strana sostanza viscosa; pubblico
compreso.
Le
tigri s’innervosirono nuovamente e attaccarono i domatori che stavolta fuggirono
a gambe levate lungo il tunnel metallico da cui erano entrati poco prima.
“Mantenete
la calma! Non è successo niente”.
La
voce del presentatore tornò a riempire l’area sotto al grande tendone.
“Rimanete
seduti. Lo spettacolo continua. Questo siparietto comico faceva parte del
programma. Si vede che…”
Ma
l’attenzione della platea venne catturata da qualcos’altro.
Un
ronzio dall’intensità del rombo di tuono, soffocò ogni altro rumore e una nube
nera calò sugli spettatori.
I
quattro alveari di Amaranda si erano svuotati. Le api, ghiotte della sostanza
emessa dalla loro padrona – dalla loro vera regina – non riuscivano proprio a
trattenersi ed ora si stavano precipitando a raccogliere quel dolce nettare,
ovunque si trovasse.
La
folla fuggì a gambe levate.
Nel
frattempo, la signora Bosciarqi aveva superato lo shock.
“Questi
delinquenti vi tengono prigioniere ed io non lo posso assolutamente tollerare”,
sussurrò la donna, rivolta ai grossi felini. “Ma non preoccupatevi, troverò il
modo di liberarvi. Uscirete da questa gabbia insieme a me”.
Ma,
al momento, gli animali avevano ben altro a cui pensare. Si stavano rigirando a
terra per liberarsi dalle api che avevano assalito anche loro.
Nonostante
questo, oppure proprio per liberarsi dai fastidiosi insetti, appena le
inferriate si aprirono, le tigri colsero l’occasione di fuggire dalla gabbia
alla velocità della luce.
“Arame,
Alaja, i miei tesori. Siete venuti a liberarci!”, esultò Amaranda mentre la
paura del pubblico si trasformò in terrore allo stato puro.
“Ho
capito perché il sindaco ci ha invitati a quello spettacolo osceno”, considerò
la signora Bosciarqi, seduta su una pietra del salotto.
“Secondo
me non pensava che fossero delinquenti del genere”, le rispose il marito che
poi tornò a mangiare le foglie d’acacia, aggrappato al collo di Malassa.
“Non
sono d’accordo. Per me invece voleva proprio che liberassimo quei poveri
animali dalle grinfie dei loro carcerieri che…”
Si
sentì un fruscio tra l’erba del soggiorno. “Vero piccolino?”
Amaranda
accarezzò la testa del serpente che era appena sbucato con un topolino tra le
fauci. “Biricchino”.
“Siamo
stati proprio fortunati che, dopo essere fuggito dal circo, questo simpatico
serpentello abbia trovato rifugio in casa nostra. Quei piccoli roditori
cominciavano ad essere un po’ troppi”.
“Hai
ragione, caro. Queste sono le leggi della natura”.
FINE
QUARTO
EPISODIO
Nessun commento:
Posta un commento