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lunedì 7 novembre 2016

I BOSCIARQI VANNO AL CIRCO

Di
Lorenzo Bosi
Mino, il sindaco di Freudaccio, osservava con interesse il montaggio del tendone giallo e rosso del circo che, il giorno successivo, avrebbe iniziato gli spettacoli in programma.
Insieme a lui c’era pure Manlio, uno dei tre vigili urbani rimasti nella cittadina dopo la restrittiva revisione delle spese operata dal governo.
Uno vicino all’altro, i due uomini sembravano il classico articolo ‘il’, anzi no. A guardarli meglio erano molto più simili al meno popolare articolo ‘lo’.
Mino era alto e magro. Manlio, all’opposto, era tozzo; ciò che gli mancava in altezza, il vigile lo recuperava in larghezza tanto che la divisa d’ordinanza era sempre sul punto di scoppiargli addosso.
“Ho chiesto al padrone del circo di invitare i Bosciarqi come ospiti d’onore”, stava spiegando il sindaco. “Voglio vedere come reagiranno quando saranno chiamati ad affrontare delle vere bestie selvatiche”.
Il vigile sghignazzò.
“Ha fatto bene, signor sindaco. Secondo me la loro vita è tutta una pagliacciata. Hanno trovato il modo di vivere senza lavorare”.
“Eh già, con tutti quei servizi televisivi, le ospitate e gli articoli su giornali e riviste stanno facendo un sacco di soldi”, concordò Mino.
“Non è giusto nei confronti di chi fatica ogni giorno per guadagnarsi lo stipendio”.
Il sindaco guardò l’uomo sottecchi. Manlio non era certo l’esempio lampante di lavoratore infaticabile. Ad ogni modo preferì non farne parola.
“Domani pomeriggio verranno finalmente smascherati e in diretta televisiva, oltretutto! Ho chiesto a diverse emittenti locali di raggiungere il circo per riprendere l’evento e, come immaginavo, molte hanno accettato. Ci sarà da divertirsi, vecchio mio!”
Il vigile rise, soddisfatto.
“Mi raccomando, acqua in bocca!”, concluse Mino.

I Bosciarqi accettarono l’invito con grande entusiasmo.
“Tutti a bordo della nostra Malassa!”, annunciò Abien.
La famiglia era agghindata per le migliori occasioni. Erano impazienti ed emozionati di assistere al primo spettacolo circense come ospiti d’onore, per questa ragione, si erano preparati al meglio.
Abien aveva aggiunto dei nuovissimi riporti gialli alle maniche e ai pantaloni del suo completo rosso preferito.
“Arrivo, sono pronta”.
Alaja uscì di casa con gonna e camicetta – pur sempre verdi – ma appena comprate. Aveva però deciso di non indossare la calotta di pietra che, a causa dell’alimentazione a base di sassi, aveva sostituito i suoi capelli neri. Il suo posto era stato preso da Frulla, la puzzola, che si era raggomitolata sulla testa della bimba a sonnecchiare un po’.
Una vero e proprio berretto vivente.
“Mi sta bene?”, domandò al fratello.
“Che bella idea. Peccato che non possa fare la stessa cosa con Sdenti”, rispose lui, mostrando il vaso trasparente in cui nuotava il suo affezionato piranha.
Coi vestiti addosso, Arame era davvero impacciato. Soprattutto faticava a camminare. Nonostante gli calzassero a pennello aveva la grazia di un pagliaccio dalle scarpe gigantesche.
Un vero spasso.
Abien aiutò la moglie. Il vestito elasticizzato, rosa a pois arancioni che aveva scelto per la serata, le stava troppo stretto, così l’uomo dovette praticamente issarla di peso sul carretto, agganciato al dorso della giraffa.
Amaranda si posizionò al centro dei suoi quattro alveari. Voleva che anche le sue adorate apine si godessero una serata fuori casa.
I figli e il signor Bosciarqi invece salirono sulla groppa del grande animale.
“Si parte!”, annunciò la donna. “Sono molto emozionata”.
La famiglia uscì dal cancello e si diresse al centro della cittadina dove il tendone del circo era pronto ad accogliere i numerosi spettatori che già facevano la fila alla biglietteria.
“Eccoli”, si udì tra la folla.
Numerose telecamere s’accalcarono attorno agli ospiti d’onore. Insieme ad esse, giunse anche un nutrito gruppo di curiosi.
“Siete pronte per…”
Ma il giornalista non riuscì a terminare la frase.
La confusione generata dalla ressa, innervosì la giraffa che diede un brusco strattone. A questo punto, ciò che tutti avevano scambiato per il berretto di Alaja scattò in avanti e mostrò i denti affilati. Frulla era sul piede di guerra.
Colti di sorpresa e spaventati dal minaccioso animaletto, chi era in prima fila arretrò, gettandosi su chi stava di dietro. Effetto domino assicurato. Molti si trovarono a terra senza nemmeno rendersene conto.
I Bosciarqi risero di gusto.
“Che carini”, commentò Amaranda. “Si tratta senz’altro di un assaggio dello spettacolo”.
“Certo cara, le premesse mi sembrano ottime”, concordò il marito.
Avanzarono tra la folla ancora distesa a terra che prontamente si ritirava per evitare i pericolosi zoccoli della giraffa.
La signora Bosciarqi continuò a salutare e a sorridere, con fare da grande diva, a chiunque le passasse a fianco.
L’intera famiglia, con animali a seguito, venne quindi condotta all’interno del circo da un apposito passaggio, a loro riservato. Avevano inoltre poltroncine separate, ad una certa distanza dalla platea…e certo, sareste tranquilli se vi trovaste vicino ad una puzzola, ad una giraffa e a ben quattro alveari, sovraccarichi di api armate di pungiglione?
Domanda idiota a cui fa seguito una risposta scontata.
CERTO CHE NO.
E infatti, gli abitanti di Freudaccio si posizionarono il più lontano possibile dai Bosciarqi.
Ad ogni modo, lo spettacolo iniziò in perfetto orario.
I primi ad entrare nella pista circolare, furono gli acrobati con le loro tute elasticizzate multicolore. Veramente bravi. Sembravano volteggiare nell’aria con la leggiadria di un gruppo di farfalle e gli spettatori seguirono le loro evoluzioni emettendo ripetute esclamazioni di stupore.
Ad essi seguirono i clown che scatenarono un allegra sinfonia di risate corali.
I numeri si susseguirono a ritmo incalzante finché, nel corso della prima pausa, vennero innalzate grosse inferriate intorno alla pista.
“A cosa servono?”, domandò Arame.
“Non lo so”, le rispose la sorella.
Ma i loro dubbi vennero presto chiariti dalla voce del presentatore.
“Signore e signori, è giunta l’ora tanto attesa. Tra poco potrete ammirare le nostre meravigliose tigri del Bengala. Mestose e letali!”
“Non capisco perché abbiano messo quelle sbarre”, si domandò Alaja.
“Secondo me devono superarle con un salto”.
La risposta di Arame venne sovrastata dalla voce del presentatore.
“So che qui, insieme a noi, abbiamo la famiglia più famosa di Freudaccio e so anche che sono gli amanti della natura per eccellenza. Mi è stato detto che riescono addirittura a parlare con gli animali. Ci credete voi?”, domandò alla folla, senza nascondere una certa ironia. Diede poi un’occhiata alla cartellina che teneva in mano e proseguì: “Ecco qua, si tratta della famiglia Bosciarqi. Sarebbe un grandissimo onore per me e per il mio circo, se un componente di questa strana famiglia potesse raggiungermi qui, al centro della pista. Voglio vedere se riusciranno a non tremare al cospetto delle nostre tigri fameliche”.
Mino e Manlio, che erano presenti allo spettacolo, con le rispettive famiglie, si guardarono di sbieco e scambiarono un sorriso complice.
“Chi si crede di essere, quello sbruffone?”, protestò Amaranda.
La donna si alzò dalla sedia e scese le scale con impeto. Da lontano, sembrava una grossa palla che rimbalzava su ogni gradino.
“Benarrivata”, la accolse l’uomo. “Lei è senz’altro la signora Bosciarqi”.
Poco dopo, giunsero anche gli ammaestratori, armati di lunghe fruste.
“Quelle a cosa servono?”, domandò la donna, sbigottita, indicando le armi che i tre uomini tenevano in mano.
Nessuno le rispose.
“Bene. Ora faremo entrare le belve feroci. Buon divertimento”.
Il presentatori uscì di corsa dalla pista.
Sotto il tendone del circo calò il massimo silenzio.
Con l’ingresso delle bestie feroci, l’attenzione della platea crebbe a dismisura e le telecamere si addossarono l’un l’altra, vicinissime alle transenne.
I ruggiti echeggiarono minacciosi e fecero rabbrividire i presenti.
I domatori fecero schioccare le fruste.
“Ma cosa state facendo? Perché le picchiate?”
Amaranda non attese risposta. Era troppo arrabbiata per il maltrattamento nei confronti di quelle povere bestie così, in men che non si dica, balzellò verso uno dei uomini e gli saltò sulle schiena.
Il malcapitato gridò. Girò su stesso poi cadde a terra sotto il peso della donna. Tanto bastò per distrarre i due colleghi. Ma quando si resero conto dell’errore, le belve feroci stavano già avanzando verso di loro con le fauci spalancate.
I crepitii delle fruste saettarono nell’aria ancora una volta e colpirono i bersagli. Le tigri guairono per il dolore.
“Voi siete matti! Delinquenti”, gridò la signora Bosciarqi. Poi la sua bocca si allargò in maniera innaturale. Sembrava fatta di gomma.
Con il corpo iniziò quindi a vibrare come una lavatrice impazzita.
“...OPS…”, sussultarono gli altri componenti della famiglia Bosciarqi.
Già conoscevano le conseguenze.  
Mai fare arrabbiare Amaranda.
Giornalisti e fotografi non volevano perdersi un solo istante di quanto stava succedendo. Il sesto senso suggeriva loro che poteva rivelarsi un grosso scoop!
La testa della signora Bosciarqi si piegò all’indietro.
Un gorgoglio che divenne sempre più forte s’innalzò dal centro della pista.
Un vulcano in eruzione.
Il viso della donna si gonfiò smisuratamente e divenne rosso come un pomodoro maturo.
Anche le tigri si immobilizzarono.
Un attimo di silenzio.
All’improvviso, fiotti di colore verde zampillarono altissimi dal naso e dalle orecchie di Amaranda, imbrattando ogni cosa di una strana sostanza viscosa; pubblico compreso.
Le tigri s’innervosirono nuovamente e attaccarono i domatori che stavolta fuggirono a gambe levate lungo il tunnel metallico da cui erano entrati poco prima.
“Mantenete la calma! Non è successo niente”.
La voce del presentatore tornò a riempire l’area sotto al grande tendone.
“Rimanete seduti. Lo spettacolo continua. Questo siparietto comico faceva parte del programma. Si vede che…”
Ma l’attenzione della platea venne catturata da qualcos’altro.
Un ronzio dall’intensità del rombo di tuono, soffocò ogni altro rumore e una nube nera calò sugli spettatori.
I quattro alveari di Amaranda si erano svuotati. Le api, ghiotte della sostanza emessa dalla loro padrona – dalla loro vera regina – non riuscivano proprio a trattenersi ed ora si stavano precipitando a raccogliere quel dolce nettare, ovunque si trovasse.
La folla fuggì a gambe levate.
Nel frattempo, la signora Bosciarqi aveva superato lo shock.
“Questi delinquenti vi tengono prigioniere ed io non lo posso assolutamente tollerare”, sussurrò la donna, rivolta ai grossi felini. “Ma non preoccupatevi, troverò il modo di liberarvi. Uscirete da questa gabbia insieme a me”.
Ma, al momento, gli animali avevano ben altro a cui pensare. Si stavano rigirando a terra per liberarsi dalle api che avevano assalito anche loro.
Nonostante questo, oppure proprio per liberarsi dai fastidiosi insetti, appena le inferriate si aprirono, le tigri colsero l’occasione di fuggire dalla gabbia alla velocità della luce.
“Arame, Alaja, i miei tesori. Siete venuti a liberarci!”, esultò Amaranda mentre la paura del pubblico si trasformò in terrore allo stato puro.

“Ho capito perché il sindaco ci ha invitati a quello spettacolo osceno”, considerò la signora Bosciarqi, seduta su una pietra del salotto.
“Secondo me non pensava che fossero delinquenti del genere”, le rispose il marito che poi tornò a mangiare le foglie d’acacia, aggrappato al collo di Malassa.
“Non sono d’accordo. Per me invece voleva proprio che liberassimo quei poveri animali dalle grinfie dei loro carcerieri che…”
Si sentì un fruscio tra l’erba del soggiorno. “Vero piccolino?”
Amaranda accarezzò la testa del serpente che era appena sbucato con un topolino tra le fauci. “Biricchino”.
“Siamo stati proprio fortunati che, dopo essere fuggito dal circo, questo simpatico serpentello abbia trovato rifugio in casa nostra. Quei piccoli roditori cominciavano ad essere un po’ troppi”.
“Hai ragione, caro. Queste sono le leggi della natura”.

FINE
QUARTO EPISODIO


    

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