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Con il braccio, sollevava i lunghi capelli rossi che le si erano incollati sul collo, in quei pochi attimi in cui un po’ d’aria soffiava.
“Oh, adesso finalmente si respira!” diceva lei con in mano la sua sigaretta.
Aveva l’aria stanca.
Milioni di volte le avevo chiesto di smettere di fumare, ma lei nulla, non voleva saperne.
“Ti fa male alla salute, e con tutti i soldi che ci spendi, potremmo andarcene in vacanza” le ripetevo costantemente.
Ma lei, incurante, mi rideva in faccia persino quando le dicevo che fumare l’avrebbe fatta invecchiare.
Non era come le altre donne del suo tempo. Lei non aveva i capelli curati, a malapena andava dal parrucchiere solo per un veloce taglio. Portava da sempre, la solita treccia di capelli biondi che le scendeva dritta sulla schiena. Non indossava mai abiti eleganti, si sentiva a suo agio con un jeans ed una maglietta.
Era tuttavia, il ritratto della donna contemporanea: una lavoratrice, una
casalinga, una moglie ed una madre al tempo stesso.
Per me non era di fondamentale importanza che lei non fosse come le altre
donne, o che la domenica in chiesa non mettesse l’abito più bello. Per me era
importante farle capire che doveva smettere di fumare, non c’era nulla di
femminile nel farlo.
Eppure in quelle sere d’estate, rimanevo ipnotizzato a guardarla fumare, mentre leggeva i suoi romanzi d’amore, forse per fuggire ad una realtà che le stava troppo stretta. E mentre sfogliava pagina dopo pagina, quasi vivesse quelle emozioni scritte sulla carta, si prendeva una ciocca di capelli e se la passava nervosamente tra le dita come ad attorcigliarla, in attesa di un’altra sigaretta.
Dopo cena non avevamo mai grandi dialoghi. Lei era davvero molto stanca.
Ed io ero la persona meno adatta con la quale parlare di certi argomenti. Forse avrebbe avuto bisogno di sfogarsi, di raccontare anche lei di cosa le passasse per la testa, ma aveva poco tempo e doveva anche prendersi cura della casa. Pertanto era fuori discussione disturbarla mentre usciva in terrazza, perché quello era il suo unico momento di serenità.
Ogni suo libro aveva l’angolo in alto a destra più gonfio, fu lei a spiegarmi che per non perdere il segno, ogni volta metteva una piega, in modo che potesse riprendere nella lettura, al punto in cui era rimasta. Nella mia mente pensai che ad ogni piega corrispondesse una sua pausa per accendersi una sigaretta.
Eppure odiavo vederla fumare. Lasciava un pessimo odore anche in casa, nonostante le finestre aperte, le urlavo spesso: “chiudi quella finestra! che con la corrente entra tutto il puzzo di fumo in casa!” e lei si alzava silenziosa dalla sedia in terrazza e socchiudeva le finestre, ma sempre con la sigaretta in bocca.
Cercavo in tutti i modi di farle capire che non volevo, che non doveva fumare.
Ma era tutto inutile.
A volte, quando cercavo fogli o ricevute, in alcuni scaffali trovavo addirittura diversi pacchetti di sigarette, come una sorta di provvista, per non rischiare di rimanerne senza.
Non so se in quei momenti ero più amareggiato o seccato da questo fatto, ma
davvero non capivo, come mai quel bastoncino meritasse tutta la sua attenzione e non potesse farne a meno.
Poteva essere un bicchiere di vino e invece era un continuo accendi e spegni di sigarette. Molte delle quali nemmeno finite, fumate così, tanto per il gusto di tenerla in mano.
Eppure in estate lei era lì, sul balcone con il vento tra i capelli e la sigaretta tra
le mani ascoltando Baglioni alla radio.
Poteva essere un bicchiere di vino e invece era un continuo accendi e spegni di sigarette. Molte delle quali nemmeno finite, fumate così, tanto per il gusto di tenerla in mano.
Un giorno mi trovai seduto in un bar, da solo, scrivendo di progetti universitari al computer. Ero a New York, ed entrato nello Starbucks di turno e siccome c’erano solo un paio di persone, decisi di fermarmi.
Presi in mano il mio caffè caldo, guardando con aria assente i passanti dalle vetrate. Poi di colpo rimasi colpito da una ragazza, piuttosto giovane, o al massimo mia coetanea, indossava un paio di jeans attillati ed una maglietta nera. Aveva il corpo lungo e l’aria molto stanca. Una lunga treccia di capelli fulvi le arrivava quasi a metà schiena.
Di colpo appoggiò a terra quello che poteva essere l’involucro del suo violoncello, forse era una studentessa di musica. Prese dalla tasca un pacchetto di sigarette e si appoggiò contro la vetrata per fumarsela, mentre tutto attorno le si muoveva avanti e indietro.
Sentì di colpo la mancanza di casa.
Corsi fuori e forse, in modo troppo irruento, le chiesi se potessi averne una. Lei molto cortesemente mi porse una sigaretta.
A pochi passi da lei, la accesi. Fu un respiro molto intenso, e sentì il rumore del tabacco mentre bruciava. Provai anche io un momento di completa serenità, come quelli di mia madre con la sua sigaretta.
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