Questo è il secondo racconto giunto al concorso SMART WRITING.
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Quello che i suoi corsi di letteratura e cultura africana alla SOAS di Londra e la sua inseparabile Rough Guide non le avevano insegnato, Isabel lo apprese presto da sé in una sorta di corso accelerato, e la prima lezione la ebbe non appena mise piede alla stazione degli autobus della leggendaria città di Kumasi, nell'antico e glorioso regno degli Ashanti, dopo un lungo, soffocante ed estenuante viaggio iniziato parecchie ore prima all’alba ad Accra, con tante fantasie in testa, la maglietta ancora stirata e la lunga treccia di capelli castani ancora lucida e ben ordinata. La sua avventura a onor del vero era partita tre giorni addietro, quando in un pomeriggio di fine luglio, Isabel aveva lasciato l’aeroporto di Bologna zaino in spalla e visto fresco fresco sul passaporto per coronare il suo sogno – dopo tanti studi e una tesi di laurea sulla letteratura africana postcoloniale di lingua inglese– di poter finalmente metter piede in terra d’Africa.
Tra tutte le raccomandazioni che le avevano fatto prima della partenza ma che Isabel non aveva ascoltato, c’era quella di non salire sui tro-tro, pulmini popolari e così economici che i pezzi di lamiera che ne componevano la fantasiosa carrozzeria erano spesso tenuti insieme da corde, nastri adesivi o dai passeggeri stessi, stipati gli uni sugli altri –nessuno di quei mezzi di locomozione si sposta fino a che l’ultimo centimetro cubo non è stato occupato– in una mescolanza unica di colori, suoni e odori. I tro-tro potevano andare bene per gli spostamenti brevi o per la gente del posto, le avevano raccomandato nella capitale, ma per lunghe distanze meglio affidarsi agli autobus nazionali o ai treni che prendono gli uomini d’affari e tutti gli occidentali, più costosi ma più rapidi e sicuri soprattutto per una straniera come lei, sola, donna e persino bianca, che avrebbe fatto meglio ad andare ad abbronzarsi in Grecia con le amiche di corso. Lei invece, neanche a dirlo, aveva pensato che quei mezzi così pittoreschi sarebbero stati il suo primo contatto vero e diretto con i “locali”, e di certo aveva avuto quel che cercava nelle lunghe ore trascorse seduta su una panca di legno senza appigli a cui reggersi, ma da cui non avrebbe potuto in alcun modo cadere nemmeno alle buche più profonde della strada o alle svolte più brusche del conducente per mancanza di spazio tutt’attorno, stretta vigorosamente com’era da una giovane donna con due bellissime bambine piene di mosche e treccine sulle ginocchia da un lato e un’anziana signora senza denti e la sua belante capra in grembo dall’altro.
Alla stazione di Kumasi Isabel faticò a ri-distendere le giunture doloranti e appena scesa dal tro-tro respirò a pieni polmoni quell’aria un po’ polverosa di un pomeriggio afoso e senza sole - anche questo le avevano detto, che di quel periodo si andava verso la stagione delle piogge e il cielo sarebbe stato spesso coperto e quasi opprimente, ma lei stentava a crederlo e comunque di certo la sua pelle diafana ne avrebbe tratto riparo e giovamento. Non ebbe nemmeno il tempo di inspirare a fondo che già le si era radunato tutt’attorno un capannello ilare e chiassoso di marmocchi e ragazzini che le davano festosamente il benvenuto al suono, già divenuto in quei pochi giorni a lei familiare, di obroni a kwaaba (benvenuta ragazza bianca), e che tra risa e schiamazzi si rimbalzavano l’un l’altro il bagaglio che più in fretta di lei avevano recuperato dal pulmino. Fu allora che intervenne Cosby, di appena una spanna più alto dei compagni ma di certo più assennato e abituato ad avere a che fare con stranieri, e soprattutto con indifese pallide straniere, che con qualche incomprensibile richiamo, sibilante fischio e scappellotto ben piazzato, mise in fuga quell’improvvisato comitato d’accoglienza e restituì lo zaino ad Isabel, il tutto senza proferire parola e senza che lei dimostrasse in alcun modo di esserne la proprietaria, ma d'altronde di chi altri poteva essere quello zaino ferrino di un lilla e rosa fiammante legato sul tetto di un tro-tro nel cuore del Ghana?
Da allora Cosby divenne la sua ombra e la sua guida, il suo cicerone e protettore al tempo stesso, in effetti senza che lei glielo avesse chiesto, ma da quel primo approccio non ci fu più modo di toglierselo di torno e per la verità a lei non dispiacque avere un intermediario locale che parlava anche un po’ di inglese e si dimostrava così carino e cavaliere con lei, e che a mali estremi avrebbe anche potuto farle da guardia del corpo. Cosby la accompagnò in una prima passeggiata esplorativa di Kumasi, tra le sue vie in parte asfaltate ma in gran parte ancora di terra rossa battuta e i resti di architettura coloniale disseminati tra le capanne di fango e lamiera. Ma più della calura e della varietà urbanistica, Isabel rimase colpita da quel brulicare di persone così frenetico e vitale, da quella città così caotica e gremita di gente che correva come formiche impazzite. La sua Rough Guide diceva in effetti che sparsi sulle colline c’erano più di un milione di abitanti, ma a giudicare dalla densità umana delle vie che stava percorrendo scortata dal suo nuovo e ormai inseparabile amico, pareva che quel giorno fossero scesi tutti a valle ad aspettare il suo arrivo.
Ma il vero tesoro degli Ashanti Isabel lo trovò dove meno si sarebbe aspettata di trovarlo. Dopo quella prima passeggiata esplorativa, Cosby la prese per mano e accelerando il passo la condusse in un altro luogo a lui ben noto e familiare, il mercato centrale della città, un’enorme distesa di merce d’ogni sorta, da frutta e verdura variopinte a pezzi di ricambio di auto, da spezie multicolori a lingue e teste di scimmia, da vestiti e scarpe di marchi europei contraffatti fino all’artigianato tradizionale e agli abiti di prezioso e raffinato tessuto Kente, così sontuoso e sgargiante da essere anche molto costoso se fabbricato con la seta. “Quello di Kumasi è il mercato più grande dell’intero Ghana e uno dei più grandi d’Africa” diceva la Rough Guide che Isabel consultava sempre più a fatica mentre la sua guida in carne ed ossa la strattonava tra banchi e ambulanti disposti in maniera casuale e sovraffollata, costringendola ad un certo punto a chiudere quel grosso tomo e riporlo nello zaino, e ad affidarsi d'ora in poi unicamente ai suoi sensi. E davvero tutti i suoi sensi, nessuno escluso, rimasero rimasero travolti ed estasiati da quell'immersione tutta d'un fiato in quel mercato nel cuore dell'Africa, tra un popolo millenario e fiero, i cui sorrisi, saluti e schiamazzi rappresentavano la merce più preziosa e il tesoro più impagabile e che la fece in un baleno sentire accolta e "a casa" al suono cantilenato e ovunque gioiosamente ripetuto di obroni a kwaaba .
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