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lunedì 31 ottobre 2016

SPIRALI

Titolo: SPIRALI
Autore: JEFFERY DEAVER
Genere: THRILLER/RACCONTI
Editore: BUR
Ho appena terminato SPIRALI, una raccolta di sedici racconti Thriller del grandissimo Jeffery Deaver.
Premetto che, di norma, evito questo genere di libri. Generalmente, la mia preferenza va ai romanzi. Mi piace conoscere a fondo i personaggi, diventarne amico o biasimarli. Qui non c'è tempo. Nei racconti di poche pagine ci si limita ad una conoscenza superficiale con essi. La partecipazione emotiva è sensibilmente ridotta.
Ad ogni modo 'Spirali' si legge molto bene. Alcune storie tengono incollati alle pagine anche se, a dire il vero, è molto difficile essere imprevedibili in 20 pagine. Creare dei veri colpi di scena risulta quasi impossibile. Non è difficile intuire come il racconto andrà a finire. E certo... i personaggi che intrecciano la trama sono pochi quindi è facile individuare le possibili conclusioni.
Ma Deaver è un autore di altissimo livello.
Non concordo sul fatto che si tratti di sedici gemme preziose, com'è pubblicizzato sulla copertina ma, in tutta onestà, ci sono davvero alcune piccole perle. Vi elenco i racconti che mi hanno colpito maggiormente:
PER I SERVIZI RESI
CRIMINE MINORE
LA VEDOVA DI PINE GREEK.
Fatemi sapere se siete d'accordo.
La mail del blog è sempre attiva.
A proposito:
GRAZIE PER LE OLTRE 6000 VISITE.

venerdì 28 ottobre 2016

RAGNI, ZUCCHE E PIPISTRELLI



DI
Lorenzo Bosi

“Batuffolino, sei in casa?”
Abien era rientrato dal consueto bagno nelle acque gelate del lago Secco. Nonostante il freddo, secondo lui non c’era niente di meglio di una bella nuotata per stimolare l’appetito e per mantenere fluide le sue smisurate articolazioni.
“Certo caro, sono qui con Liptolo”.
Amaranda emerse dallo strato erboso che ricopriva il pavimento della sala. “La mia pelle trae giovamento da queste immersioni di verde”.
La pianticella di Eucalipto mosse tutti i rametti ed emise un lungo stridio.
“Senti, anche Liptolo mi da ragione”, sorrise la signora Bosciarqi.
La donna indossava un costume strettissimo da cui trabordavano chili e chili di grasso in eccesso. Praticamente il color fucsia dei due pezzi era coperto dalla sovrabbondanza di ciccia.
“Dolcezza mia, è meglio che tu ti copra. Sai cosa mi succede quando ti vedo così!”
Abien avvolse la moglie tra le braccia scheletriche e la baciò con foga sulla fronte.
“Non davanti a Liptolo. Ultimamente non sopporta troppo le tue smancerie”, si raccomandò la moglie, sorridendo compiaciuta. Poi si allontanò dal marito e raccolse la vestaglia viola, adagiata a terra, sulle sterpaglie.
“Arame e Alaja sono rientrati?”
“Certo, hanno già mangiato ed ora sono in cucina a preparare qualche dolcetto per stasera”, rispose Amaranda.
“Ah gia! Per la spaventosa notte di Halloween!”
L’uomo si avvicinò rapidamente alla donna ed iniziò a farle il solletico. “Stanotte arrivano le streghe. Tremate, gente…Tremate”.
Liptolo tornò a stridere come poc’anzi e fece tremare tutti i rami, vistosamente, poi se ne andò, piuttosto seccato.
“Povero piccolo, forse è geloso di te”, constatò Amaranda. “Andiamo a vedere cosa stanno combinando i piccoli in cucina. Alaja è un’ottima cuoca e ho già l’acquolina in bocca”.
I signori Bosciarqi raggiunsero i figli.
“Ciao mamma, ciao papà”, li accolsero i bambini alle prese col forno.
“Mi assicurate che la legna proviene da alberi morti e che non li avete tagliati?”, chiese Alaja con la solita voce monotono e lo sguardo perso nel vuoto.
“Sei impazzita?”, si scandalizzò il padre. “Noi che tagliamo degli alberi? Non si è mai visto al mondo”.
“Arame, sei il solito stupido! Bugiardo".
La bambina diede una spinta stizzita al fratello. Lui sorrise.
Alaja aprì il forno e ne estrasse una teglia di sfere nere, della dimensione di palline da tennis,  già intagliate come zucche di halloween.
“Che profumino!”, esclamò Amaranda. “Devono essere buonissimi”.
“Dobbiamo ancora decorarli”, spiegò Arame, afferrando un dei dolcetti con la mano palmata.
“Siete bravissimi”.
La madre li abbracciò. “Peccato che solo la famiglia di Taddea abbia accettato il nostro invito per stasera”.
“Vorrà dire che lei e i suoi genitori avranno la fortuna di assaggiare queste prelibatezze”.
“Hai sempre ragione, mio caro. Andiamo a vedere se i nostri ragnetti stanno completando il loro lavoro. Voglio che stasera ogni cosa sia perfetta”.
“Andate pure, qua abbiamo tutto sotto controllo”, li rassicurò Arame.
Abien e Amaranda li salutarono e tornarono nella sala.
Sollevarono gli occhi al cielo e osservarono il soffitto. Lassù, frotte di ragni di tutte le dimensioni, stavano zampettando rapidamente. Le frasche e le liane che scendevano dall’alto erano già imbrigliate dalla seta collosa, prodotta dagli aracnidi.
“Che meraviglia, Taddea e i suoi genitori rimarranno senza parole. Mi dispiace per chi non verrà, sono certo che roderanno tutti dall’invidia per non aver accettato il nostro invito”, si compiacque Abien.
“E non è finita qui”.
Amaranda uscì alcuni istanti dalla sala e rientrò con un grande vassoio pieno di grandi zucche intagliate.
“Sono candele che ho prodotto con la cera delle nostre apine", cantilenò la sua sgradevole voce da cornacchia. “E ne ho tante altre. Le metteremo ovunque”.
“Sarà una serata indimenticabile”.
“Ne sono sicura anch’io”.

Verso le 21.30 si udì bussare.
La signora Bosciarqi, vestita di arancione come fosse una gigantesca zucca, si affrettò ad aprire la porta.
“Benvenuti”.
Anche Alaja si fece avanti per salutare l’amica.
“Ciao Taddea, ti piace il mio trucco?”
La bimba fece un leggero ghigno di disgusto. Gli occhi cerchiati di nero e il sangue posticcio che colava sul viso della giovane Bosciarqi, grigio come la pietra, erano uno spettacolo a dir poco inquietante.
Taddea non rispose ma, allo stesso modo dei genitori, osservò lungamente ciò che la circondava.
Oltre alla sterpaglia che avvolgeva ogni cosa, le ombre tremule e allungate, generate dalle decine e decine di candele a forma di zucca di halloween, creavano un’atmosfera piuttosto maligna. Per non parlare del soffitto…completamente celato dalle tenebre. Ma era la notte di Halloween, che altro dovevano aspettarsi?
Probabilmente i nuovi arrivati valutarono che tutto ciò fosse eccessivo e rimasero vicini, l’uno alle altre, come fossero incollati…saldati…inchiodati.
I Solis erano tutti e tre di corporatura minuta, vestiti di bianco e nero. Sembrava una tenera famigliola di pinguini. Spaventata a morte!
“Signori Solis, venite avanti. Accomodatevi”, intervenne Albien.
“Sì, non aspettate troppo lì in piedi. Non avete mai visto una casa addobbata per Halloween? Io voglio mangiare”.
Arame era impaziente. Forse si trovava a disagio nella lunga tunica nera, decorata da scheletri che, una volta tanto, indossava sopra al consueto costume da bagno.
Amaranda e Alaja condussero gli ospiti nella zona soggiorno, composto da sei grosse rocce disposte in circolo.
“Mettevi comodi”, disse loro la padrona di casa.
“Grazie”, fu la prima parola che fuoriuscì, incerta, dalla bocca della signora Solis.
La famigliola si sedette su un’unica pietra o meglio, si ammassò su di essa. Erano sempre più sconvolti e sempre meno convinti di aver fatto bene ad aver accettato l’invito dei Bosciarqi. Di certo non avevano mai visto una casa in cui al posto delle poltrone e dei divani ci fossero delle pietre sepolte in un mare di erbaccia.
“AHHH!”, scattò il padre di Taddea. “Sembrano vere…”.
La mano dell’ometto aveva sfiorato una ragnatela attaccata alla roccia su cui erano seduti.
“Certo che sì. Ma non si preoccupi, non abbiamo maltrattato nessun ragno”, spiegò Abien. “Quando mia moglie chiede un favore, i ragnetti sono ben felici di collaborare con lei”.
“Adulatore”, cinguettò la signora Bosciarqi, sbattendo ripetutamente gli occhi al marito.
“Mangiamo o no?”
“Arame non essere insolente”, lo riprese la madre. “I primi ad assaggiare i vostri manicaretti saranno i nostri ospiti”.
“Prendi Teddea, li abbiamo fatti io e mio fratello”, spiegò Alaja, sorreggendo il vassoio.
I signori Solis, guardarono con insistenza quegli strani dolcetti marroni e appiccicosi.
“E’ tutto commestibile?”, domandò la donna, indicando i lunghi filamenti verdi e rossi che li avvolgevano.
“Ma certo”, rispose Arame, piccato. “Quelle sono alghe agrodolci che si abbinano perfettamente al miele con cui li abbiamo imbevuti”.
“Alghe?”, domandò Taddea. Aveva gli occhi sgranati.
La signora Solis deglutì. “Ma certo, piccola mia. Le alghe sono…buonissime”.
Poi tutti e tre si portarono il dolce alla bocca. Erano tutt’altro che convinti ma notarono che i padroni di casa li stavano osservando, in attesa del loro verdetto. Si strinsero a vicenda con le mani libere e diedero un morso. Tutti e tre insieme.
Silenzio…
Mugugni…
“Ahiaaa!”, gridò Taddea.
I genitori rimasero in silenzio ma i loro occhi lacrimavano abbondantemente.
La piccola inserì due dita in bocca e mostrò a tutti la spina che le si era inserita tra i denti.
“Arame!”, si arrabbiò Alaja. “Ti avevo detto di macinare bene gli aghi di acacia prima di impastarli col terriccio”.
“COSA?”, domandarono gli ospiti in coro. Poi sputarono a terra ciò che era rimasto loro in bocca.
“Non mi rompere!”, protestò il fratello.
“Basta così”, intervenne Amaranda. “Tua sorella ha ragione. Non tutti possono mangiare le spine di acacia come tuo padre”.
E per dar manforte alla moglie, Abien tirò fuori la grossa lingua verde che gli arrivava ben oltre il mento.
“Che roba è quella?”, pigolò la signora Solis, emettendo una serie di risatine isteriche. “Ho capito, è uno scherzo di Halloween!”
I Bosciarqi scoppiarono a ridere.
Finalmente la tensione si allentò.
“A noi piace molto il contatto con la natura. Siamo contrari a tutte le innovazioni che ne pregiudicano il fragile equilibrio”, stava spiegando Amaranda.
“Proprio così”, concordò Abien, “e la natura contraccambia il nostro amore. Abbiamo una vera e propria empatia con animali e piante. Riusciamo a comunicare con loro”.
“Ma dai! Non raccontateci delle favole!”, li sbeffeggiò il signor Solis. “Non ho mai creduto a queste storie. Sono tutte bugie che vengono raccontate anche dalla televisione, non è vero cara?”
La moglie rise, in accordo col marito.
“Io non ci trovo niente da ridere. Anch’io riesco a parlare con Sdento, il mio piranha”.
“Senti un po'...il suo piranha”.
Gli ospiti risero ancora più forte.
“Non c’è niente di male, Arame, non c’è alcun bisogno di arrabbiarsi. Molta gente è scettica su queste cose. Noi però possiamo dimostrare quello che diciamo”.
Poi Amaranda si alzò e scambiò uno sguardo complice col marito. Era giunta la mezzanotte. L’ora in cui si doveva dare senso compiuto alla notte di Halloween.
“Bene”, disse il signor Bosciarqi. “Alziamoci tutti, stanno per arrivare i bambini per il classico ‘dolcetto o scherzetto?’. Prepariamoci ad accoglierli”.
“Davvero? Io non sento niente”, si meravigliò Taddea.
Alaja prese per mano la compagna di classe e la condusse al centro della sala. Amaranda fece lo stesso coi genitori.
“Ci metteremo qui”, spiegò.
Poi però si scostò di qualche passo e guardò verso l’alto. La sua bocca iniziò a muoversi freneticamente. Da essa fuoriuscì un lungo sibilo, appena percettibile.
I signori Solis si guardarono intorno senza capire cosa stesse succedendo.
Udirono un leggero fruscio, proveniente dal soffitto. Ma, quando sollevarono lo sguardo, ebbero appena il tempo di vedere che qualcosa stava cadendo loro addosso e, in men che non si dica, si ritrovarono coi corpi avvolti in una gigantesca ragnatela vischiosa.
“Buon halloween!!” gioirono a gran voce i signori Bosciarqi, entusiasti.  Anche i Solis gridarono con tutto il fiato che avevano nei polmoni...ma non per l’entusiasmo. Centinaia di ragni, grandi e piccoli, scorrazzavano sulla tela a folle velocità e un nugolo di pipistrelli svolazzava tutt’intorno, emettendo stridii acutissimi. Ma in confronto agli strilli della povera famiglia erano poco più che flebili sussurri.
In quella notte di Halloween infatti ci furono molte persone pronte a giurare di averli uditi fin dalla parte opposta di Freudaccio.
Poveri loro!!!

“Ieri sera è stato fantastico. Tutto è andato alla perfezione”, sospirò Amaranda.
Quel pomeriggio, lei e Abien erano impegnati a ripulire l’erba del pavimento dalle numerose ragnatele sparse ovunque.
“Hai ragione, batuffolino”.
La donna si fermò. Assunse un’espressione pensierosa ed aggiunse: “Mi dispiace solo per la signora Solis. A causa delle forti emozioni è stata ricoverata in ospedale”.
“Mamma, papà siamo pronti”.
I due figli sopraggiunsero di corsa.
“Ciao bambini”, li accolse la madre. “Avete preso tutto?”
Alaja mostrò il sacchetto che teneva in mano.
“Bravi, piccoli cari. La mamma di Taddea sarà felicissima di vedervi”.
“Certo, cara. E quando vedrà che le avete portato i dolcetti di ieri sera, si riprenderà in un istante”, sorrise Abien.

FINE
TERZO EPISODIO

BUON HALLOWEEN
A

TUTTI

domenica 23 ottobre 2016

HALLOWEEN

Cosa mai potrà succedere a casa Bosciarqi nella notte di Halloween?
Qualcuno di voi ha idea di cosa combinerà questa stramba famiglia?
Speriamo di poter spiare tra le loro mura domestiche... Sicuramente ci sarà da divertirsi.
Dolcetto o scherzetto? Secondo me entrambi.
Restate sintonizzati

giovedì 20 ottobre 2016

PADRE CADFAEL

Oggi vi voglio parlare di una serie di gialli ambientata nel medioevo. Per essere più precisi, i casi di fratello Cadfael si svolgono in Inghilterra durante la guerra civile tra l'imperatrice Maud e il re Carlo - dal 1135 al 1145 -.
Nell'abazia di Shrewsbury, il monaco, nato dalla penna di ELLIS PETERS, svolge il ruolo di erborista. È un uomo di cultura e, per questa ragione, gli vengono spesso affidati compiti particolarmente importanti.
Ad esempio, nel 1137 viene inviato in Galles per portare in abazia le relique di Santa Winifried ma, durante il viaggio, s'imbatte nell'omicidio di un importante signore locale. Questo sarà il primo caso risolto dall'abile religioso.
La serie conta ventuno libri.
Il connubio tra il genere thriller e il romanzo storico è assolutamente ben riuscito.
La lettura è piacevole e molto coinvolgente.... fidatevi

lunedì 17 ottobre 2016

LA NUOVA MAESTRA


Di
Lorenzo Bosi

La nuova maestra di Alaja, stava raggiungendo casa Bosciarqi.
“Forza! Non avrete mica paura della vostra compagna di classe?”, domandò secca ai due bimbi che stava trascinando con sé.
La donna, coi capelli corvini raccolti sulla nuca e con un paio di occhiali dalla montatura rettangolare, appoggiati sulla punta del naso, era stata appena assegnata alla scuola di Freudaccio.
Amedea non tollerava i soprusi e i due grossi lividi che l’alunna aveva lasciato sui visi di Marco e Stefano erano un motivo più che sufficiente per richiedere provvedimenti ai genitori della bimba.
“Voglio fare chiarezza su questa situazione. Non sopporto che ci si picchi nella mia classe”, continuò a sbraitare la maestra. “Quella bambina deve cambiare. Chiederò ai signori Bosciarqi di darle una bella lezione. Picchiare due compagni di classe è una cosa inaudita!”
Il terzetto uscì dalla cittadina, svoltò a destra e proseguì per il sentiero che serpeggiava sulla collinetta.
“Qua non vedo nessuna casa. Dove vive Ajala?”, domandò Amedea, stizzita.
Marco allungò un braccio ed indicò un punto poco più avanti.
“Abita lì”.
Gli occhi della donna, stretti come fessure, incontrarono un semplice, grosso ammasso di sterpaglie.
“Che scherzi sono questi? Vuoi prendermi in giro?”
I due bimbi negarono col capo, poi le indicarono la cancellata, anch’essa avvolta da folte piante rampicanti.
La maestra rallentò l’andatura.
Inorridita, proseguì comunque fino al cancello aperto. Le mani della donna si strinsero ancora di più a quelle dei bimbi.
“Ahia”, si lamentarono.
Lei non rispose.
“Le abbiamo detto che è una famiglia strana”, precisò Stefano.
Amedea deglutì rumorosamente. Era esterrefatta, tuttavia cercò di mantenere un atteggiamento risoluto.
Avrei fatto meglio ad ascoltare i bambini e il preside”, riproverò mentalmente a sé stessa. “Dovevo convocare i genitori a scuola”.
Ma non voleva cedere.
Avanzarono oltre la cancellata. Ad ogni passo, tutti e tre avevano l’impressione che  i fili d'erba si muovessero come tanti serpentelli…un momento!
Qualcosa si stava davvero attorcigliando alla caviglia di Amedea.
“AHHHH”, gridò. Istintivamente anche i bimbi fecero lo stesso.
Una biscia!!
“Cosa sta succedendo?”
I tre sollevarono lo sguardo.
L’urlo aumentò d’intensità.
Un bimbo, completamente bagnato, con la pelle bianca come il latte e gli occhi color ghiaccio, era apparso dal nulla.
“Ci…ciao…A…Arame”, balbettò Marco.
“Cosa ci fate qui?”, rispose il bambino di otto anni, squadrando i nuovi arrivati con sguardo severo. “Stavo giocando nella palude col mio piranha e ho sentito degli urli. Mi avete spaventato”.
“Ti sei spaventato, tu?”, sbottò la donna. “Toglimi questa bestia di dosso!”
Amedea sollevò la gamba imprigionata dalla biscia e la scosse ripetutamente.
Arame sbuffò. Poi però si avvicinò e allungò la mano verso l’animaletto.
“Che roba è? Cosa sei?”, sbraitò la maestra. Aveva notato le dita palmate e dovette tenersi stretta alle spalle di Stefano per non svenire.
“Non capisco cosa ci sia da gridare tanto”.
Il bimbo liberò la piccola biscia tra l’erba poi tornò a rivolgersi agli ospiti. “Se dovete parlare coi miei genitori, seguitemi”, tirò ad indovinare.
Il gruppetto giunse ad una porta sgangherata. Arame la aprì ed uno sciame di mosche e moscerini sbatté contro gli ospiti.
Sputacchiarono.
“Volete entrare o no?”, domandò il giovane Bosciarqi, vedendo i tre nuovi arrivati ancora fermi al di là della soglia. Poi si voltò, senza attendere risposta e proseguì.
Lo seguirono all’interno di quella che sembrava una grotta. Erba dappertutto e, dal soffitto, scendevano numerose liane.
L’antro, piuttosto stretto, sbucò in un ambiente molto più ampio.
“Arame, hai portato ospiti?”
Maestra e alunni rimasero a bocca aperta, ancora una volta. Un uomo, alto e secco come un attaccapanni era aggrappato al collo di una giraffa.
“Scusatemi, stavo facendo uno spuntino di foglie d’acacia”, annunciò l’uomo, scivolando giù e saltando agilmente sullo strato d’erba che ricopriva il pavimento.
L’animale invece proseguì a mangiare dai sacchi appesi al lampadario, infischiandosene totalmente dei nuovi arrivati.
Lo strano individuo strinse la mano ad Amedea. Lei lo osservò in silenzio, incapace di parlare. “Sono il signor Bosciarchi, Abien Bosciarqi. Con chi ho il piacere di parlare?”
In poco tempo, la donna riconquistò l’abituale contegno.
“Sono la nuova maestra di Alaja. Mi chiamo Amedea e dovrei assolutamente parlare con voi. Voglio dire, ho bisogno di incontrare ai genitori dell’alunna. La madre è in casa?”
“Io me ne vado”, intervenne Arame.
Il bambino fece alcuni passi prima di scomparire in un rumoroso sciabordio.
Amedea scattò.
“Dov’è andato? E’ caduto?”
“Non si preoccupi, signora Amedea…”
“Signorina”, lo corresse lei.
“Signorina Amedea…si è immerso nel suo laghetto domestico”, spiegò il padrone di casa. “Sedetevi pure, vado a chiamare mia moglie e Alaja”.
Quando l’uomo uscì dalla stanza, gli ospiti si guardarono intorno. Ovunque c’erano erbacce, frasche e rovi. Sulle liane che penzolavano per tutta la sala, svolazzavano numerosi volatili che defecavano liberamente a terra. Schifati, preferirono rimanere in piedi.
Poco dopo, Abien rientrò, accompagnato dalla giovane Ajala e da una donna che assomigliava più ad fagotto colorato che ad un essere umano.
“Piacere signorina Amedea, sono Amaranda Bosciarqi. Sono molto felice che sia venuta a fare la nostra conoscenza. Saluta la maestra, cara”, concluse, rivolgendosi alla figlia.
“Buonasera signorina”, ubbidì Alaja.
“Sediamoci”, li invitò la donna.
La maestra si aggiustò gli occhiali per vedere meglio il vestito di Amaranda. Ebbe comunque difficoltà a credere ai suoi occhi. Sulla stoffa gialla vi erano applicati dei vasetti rossi con dei fiori veri all’interno ma, soprattutto, vide numerose api ronzare su di essi per nutrirsi.
“Caro, porta fuori Malassa. Credo che abbia mangiato abbastanza per oggi”.
“Hai ragione, batuffolino”, concordò il marito che, come fosse una scimmia scheletrica, si arrampicò sul dorso della giraffa e la condusse fuori, cavalcandola.
“Bene, sediamoci qui”.
Mamma e figlia spostarono la vegetazione che ricopriva alcune pietre disposte in cerchio. Poi, con un gesto del braccio, Amaranda invitò gli ospiti a sedersi.
“Volete qualcosa da bere?”, chiese Alaja, con voce monotono.
“No, no grazie”, Amedea declinò l’offerta. “Piuttosto hai parlato a tua madre di quello che è successo stamattina a scuola?” Poi, senza attendere risposta, si rivolse alla donna. “Sono venuta qui per raccontarle di un fatto increscioso”. E indicò le ammaccature sul volto dei bambini. “Questi ematomi sono opera di sua figlia perché li ha visti uccidere due lombrichi”.
“Sì, nostra figlia ci ha raccontato tutto, poveri! Sono inorridita!”, commentò Amaranda, portandosi una mano alla bocca. “Bisogna prendere subito dei provvedimenti!”
“E’ proprio per questa ragione che sono venuta qui”.
“Ha fatto benissimo. Bisogna essere incisivi senza tuttavia essere troppo severi. Certi atteggiamenti non si devono mantenere”.
“Vedo che la pensiamo allo stesso modo”, concordò la maestra.
“Sono sicura che siate due bambini dolcissimi, tutti i bambini lo sono. Venite con me, state tranquilli, piccoli cari”.
Gli alunni si guardarono con occhi interrogativi. Poi rivolsero lo stesso sguardo alla maestra.
La donna non capì la ragione di quell’invito ma, allo stesso tempo, non ci vide nulla di male.
“Andate pure. Ora abbiamo chiarito tutto e certe cose non succederanno più”, sorrise Amedea.
Marco e Stefano si alzarono titubanti e seguirono la signora Bosciarqi, cercando di evitare le api che ronzavano sui fiori.
“Ora mi sento più sollevata”, commentò la maestra, rimasta sola con Ajala.
La bambina non rispose.
Poi un fruscio attirò l’attenzione di entrambe. Le frasche che ricoprivano il pavimento iniziarono a muoversi visibilmente.
Amedea scattò.
“Cosa sta succedendo?”, domandò allarmata.
“Niente”, rispose la bambina. “E’ solo Frulla, la mia puzzola, che sta arrivando”.
“La tua cosa???”, si scandalizzò, la donna.
A risponderle fu il musetto della bestiola che fece capolino dallo strato erboso.
La maestra gridò e saltò in piedi sulla roccia.
“Tieni quel mostro lontano da me!”
La bambina prese la bestiola tra le braccia e sorrise, senza considerare gli starnazzi della maestra.
“Ecco qua i nostri bimbi! Dopo un paio di ore in questa posizione non uccideranno più nessun animaletto indifeso”.
Amedea spostò gli occhi terrorizzati dalla puzzola alla voce che aveva parlato.
Un nuovo grido della donna echeggiò nell’aria.
Marco e Stefano erano appesi a testa in giù. Amaranda trascinava, sulle quattro ruote,  una struttura in legno dalla quale penzolavano i due bimbi che sbrativano come ossessi.
“No, no, no”, strillò la maestra, in preda ad una crisi di nervi. “Non dovevate! Non dovevate!”
“Signorina Amedea, non sia troppo severa con loro. Questa piccola punizione sarà più che sufficiente per farli smettere”, spiegò la signora Bosciarqi con la massima tranquillità.
“Ma cosa dice? Lei è matta! Voi siete tutti matti”.
La maestra iniziò a saltellare sulla pietra come una palla matta.
La puzzola si spaventò e, dapprima, mostrò i denti affilati alla donna poi però si girò su sé stessa e sparò la sua secrezione maleodorante contro l’ospite esagitata.
Amedea cadde a terra per il puzzo.
Il fetore disorientò pure le api che si allontanarono dai fiori e presero a ronzare per tutta la stanza come proiettili vaganti.
La maestra si sollevò a fatica ma, una volta in piedi, scapicollò fuori di casa ad una velocità tale da umiliare le prestazioni di un atleta olimpionico.

“Com’è andata a scuola?”, domandò Amaranda alla figlia, appena rientrata da scuola.
“Bene mamma ma la signorina Amedea non c’è più. E’ stata trasferita”.
La donna smise di annaffiare l’erba del pavimento e guardò il marito che stava brucando sulla giraffa.
“Che strano, mia cara”, disse lui, “mi sembrava una brava insegnante, vicina alla natura, proprio come noi”.
“E’ vero. Forse era un po’ troppo nervosa”, concluse la donna e riprese il lavoro che aveva momentaneamente interrotto.

FINE
SECONDO EPISODIO


 murodilibri@libero.it murodilibri@libero.it

domenica 16 ottobre 2016

IN ATTESA

Visto che quasi trecento persone hanno letto il primo episodio, ho deciso di scrivere il secondo de
LA FAMIGLIA BOSCIARQI
Al più presto lo pubblicherò...
Siete comunque invitati tutti ad inviare le vostre proposte alla mail del blog.
Facciamo vivere tante avventure a questa stramba famiglia!!!

giovedì 13 ottobre 2016

I MISTERI DELLA GRANDE FORESTA

Ugo si trasferisce in una casetta ai margini della grande foresta. Arrampicandosi da un albero all'altro, il giovane si addentra tra la fitta vegetazione dove incontra Lord Serpi, capo di tutti i serpenti. Un essere diabolico. Ma la foresta nasconde altri bizzarri individui: i blat, creature piccolissime con gli occhi enormi. Purtroppo, uomini e serpenti hanno stretto un  patto per distruggere questi piccoli esserini. La loro unica salvezza è trovare al più presto il tesoro per sfuggire alla terribile minaccia.
Come sempre, nelle storie semplici, scritte per i più piccoli, si cela un insegnamento anche per i più grandi. In questo caso, l'autore - Michael Stephens - vuole metterci in guardia dall'egoismo.
Una lettura scorrevole, senza troppe pretese. L'idea è bella ma certo non innovativa.

lunedì 10 ottobre 2016

SPECIALE A CASA BOSCIARQI

murodilibri@libero.it

Di
Lorenzo Bosi

“Tre, due, uno. Sei in onda!”
sullo schermo apparve il volto sorridente di Nino, armato di un microfono nero.
“Carissimi telespettatori di TeleNatura, per il nostro speciale di oggi siamo arrivati fino a Freudaccio e, in questo preciso istante, ci troviamo davanti alla dimora dei Bosciarqi. Una famiglia che ha fatto del rispetto della natura la propria ragione di vita”.
Il giornalista era di qualche anno sotto la trentina, aveva occhi vispi e capelli neri. L’inquadratura passò quindi ad una cancellata avvolta dalla vegetazione. Al di là di essa s’innalzava un ammasso di erbacce, alberi e frasche dalle dimensioni di un palazzo.
“Proprio così”, proseguì la voce fuoricampo del cronista. “Sotto questa montagna di erba c’è la loro casa ed ora seguitemi, incontreremo i componenti della famiglia”.
Detto questo, il ragazzo aprì il cancello e, seguito dal cameraman e dal tecnico del suono, si addentrò in un tunnel di sterpaglie.
Sembrava una giungla vera e propria. Decine e decine di liane ciondolavano dall’alto e le orecchie dei tre operatori erano allietate dal piacevole cinguettio di uccellini che svolazzavano piacevolmente da un ramo all’altro. Dopo qualche metro, giunsero ad una strettoia che sembrava l’ingresso di una grotta.
“Che dire, la famiglia Bosciarqi vive letteralmente a contatto con la natura”, tornò a dire Nino. “Questa dovrebbe essere l’entrata. Venite con me”, disse ammiccando alla telecamera.
“Superato l’ingresso, entreremo nel salone dove ci aspettano i padroni di casa. Ora…”, s’interruppe e guardò verso il basso.
Uno strano ammasso di foglie e ramoscelli, spuntato da chissà dove gli era andato a cozzare contro le gambe.
“Che diavolo è?”, gridò Lollo, il tecnico. Un ragazzone alto e grosso e con la faccia da bamboccione.
“Niente di grave, amici”. Il giornalista riprese in mano la situazione. “Si tratta di un semplice cespuglio…un po’ vivace, forse” e deglutì rumorosamente.
“Dodo”, proseguì con un sorriso di circostanza, “inquadra verso il basso”
In effetti l’Eucalipto era vivo, animato. Non si trattava di una pianta qualunque, il piccolo cespuglio ovale muoveva i ramoscelli come fossero piccole braccia.
“Presto scopriremo chi c’è lì sotto”. Nino tentò di giustificare l’inusuale creatura.
“Liptolo, Liptolo, non disturbare i nostri ospiti!”
Poco dopo apparve la proprietaria della voce gracchiante che aveva parlato o meglio cantilenato quella frase.
La telecamera inquadrò Amaranda Bossarki. Una donna sulla quarantina. A dire il vero più che di un essere umano, aveva l’aspetto di un profiterol ambulante, ricoperto di una glassa multicolore. Alta circa centocinquanta centimetri per altrettanti chilogrammi di peso, la padrona di casa era un inno alla stravaganza. I capelli giallo ocra erano cortissimi e circondati da una corona di fiori finti. L’abito elasticizzato color fucsia e verde ridicolizzava ulteriormente le sue abbondanti rotondità e gli occhi piccolissimi, praticamente due minuscole fessure, faticavano ad aprirsi dietro le grosse guance. La bocca era un taglio orizzontale sotto al naso a patata. Per concludere, Amaranda aveva la pelle bianchissima con sgradevoli escrescenze rossastre.
“Venite avanti, mio marito e i ragazzi sono in soggiorno”, cantilenò la bizzarra signora prima di ingurgitare una capiente ciotola di miele. “E’ ottimo! I quattro alveari che tengo in camera da letto mi forniscono questo meraviglioso nettare”.
“Tiene gli alveari in camera da letto?”, domandò Nino, sconcertato.
“Certo, le mie apine mi tengono tanta compagnia. Dopo ve le farò conoscere, ne saranno felici”.
“Le api?”
“Certo, stavo parlando di loro”.
Amaranda guardò dentro la telecamera e fece un sorriso smagliante.
“Forza Liptolo, andiamo in soggiorno”, aggiunse, rivolgendosi al cespuglio che subito iniziò a zampettare.
“Ma si muove da solo? Insomma, è vivo o c’è qualcuno sotto?”, domandò il giornalista mentre seguiva la strana coppia.
“Qualcuno sotto? Che domanda ridicola”.
La signora Bosciarqi rise a squarciagola.
Superato il tunnel, o meglio, oltrepassato il corridoio, la troupe entrò in un ambiente straordinariamente ampio di forma indefinibile e illuminato da quattro aperture rotonde. A questo punto, la telecamera indugiò sulla vegetazione incolta che avvolgeva ogni cosa. Pareti, soffitto e pavimento erano completamente ricoperti da uno spesso strato di verde e, anche qui, ciondolavano liane e sterpaglie sulle quali giocherellavano frotte di animali di ogni razza. C’erano uccelli, roditori, gatti, cani, piccoli rettili e insetti che vivevano tra quelle singolari mura domestiche.
Tenendo il cespuglio ambulante per un rametto, Amaranda raggiunse una roccia levigata adagiata sul pavimento d’erba e si accomodò tra le due persone che erano già sedute.
Sulla sinistra del teleschermo stava il signor Bosciarqi. L’uomo, all’incirca della medesima età della moglie, era alto e secco all’inverosimile. Era addirittura sproporzionato tanto che la giacca nera, perfettamente in misure sulle spalle, aveva le maniche che gli arrivavano ai gomiti, l’avambraccio restava scoperto e terminava con la mano, grande come una pala. Stessa cosa per i pantaloni grigi che gli coprivano a malapena le ginocchia ossute.
Il viso era scarno, gli occhi grandi erano marroni e le lunghe ciglia, finivano con un ricciolo. Anche le sopracciglia erano super sviluppate, talmente rigogliose da sembrare posticce.
“Benarrivati, vi stavamo aspettando”.
Abies salutò i nuovi arrivati mantenendo un’espressione ebete in volto.
“Sai caro, il ragazzo mi ha chiesto se sotto Liptolo c’è nascosto qualcuno”, intervenne la moglie, sorridendo divertita.
“Non capisco, chi dovrebbe esserci?”
“No, no signor…Bosciarqi, è una cosa…normalissima”, balbettò Nino, non più tanto convinto che lo speciale in quella gabbia di matti fosse stata una buona idea.  
“Siamo felici di avervi qui”.
Probabilmente era stata la figlia a parlare o, per lo meno, era stata l’unica ad aver mosso le labbra, anche se in modo appena percettibile.
Alaja Bossarki, alla destra del teleschermo, era la tristezza fatta a persona. La pelle, i capelli –  se quella calotta cinerea che aveva sulla testa erano i suoi capelli  – le labbra, gli occhi, tutto era grigio, di diverse tonalità ma pur sempre grigio era. Una Pinocchio di pietra. Almeno il vestito era di un più allegro color verde.
“Bene, se non sbaglio tu sei Alaja, la naturalista più intransigente della famiglia”, riprese la parola Nino mentre il microfono a giraffa raggiungeva la ragazzina.
“Sì, io non riuscirei mai a sopportare che una creatura, animale o vegetale che sia, possa soffrire a causa mia”, spiegò la bimba di dieci anni, con gli occhi fissi sulla camera come se volesse ipnotizzare i telespettatori. “E’ per questo che mi nutro solo ed esclusivamente di pietre”.
“Cos’è che mangi?”, domandò Nino, strabuzzando gli occhi. Era certo che Alaja lo stesse prendendo in giro.
“Pietre”, ribadì lei come se si trattasse della cosa più naturale del mondo. Poi ne estrasse una dalla tasca. “Da piccola ho iniziato a mangiare la sabbia poi sono passata alla ghiaia ed ora sono in grado di sbriciolare qualsiasi tipo di roccia”.
E per dimostrare ciò che aveva appena detto, azzannò il sasso e lo spezzò.
“Po…po…posso vedere?”, balbettò Nino, prendendo in mano lo spuntino della bambina. Lo esaminò alcuni istanti poi lo mise a favore di telecamera.
“Non ho parole. Si tratta di una pietra autentica”, commentò il ragazzo mal celando il forte imbarazzo.
“Alaja devi dire tutta la verità, altrimenti la gente penserà che sei una ragazza strana”, intervenne la voce cantilenante di Amaranda. “Mia figlia non mangia solo pietre, integra la sua alimentazione con del terriccio nutriente, altrimenti mica avrebbe la pelle così vellutata”, concluse, sorridendo.
“Ce… certamente, che altro se non del buon terriccio?”, ripeté il giornalista. Poi si schiarì la voce e cercò di portare avanti la più strampalata intervista della sua carriera. “Ma non dovrebbe esserci un altro componente della famiglia?
“Sì, un attimo che chiamo Arame. Sapete, nostro figlio sta schiacciando un pisolino nello stagno. Ora lo sveglio”, rispose Abies che faticò a sollevarsi sulle lunghe gambe traballanti.
Il cameraman e il tecnico del microfono seguirono gli spostamenti dello spilungone.
“Ha detto che suo figlio dorme nello stagno?”, domandò Nino sempre più incredulo.
“Sì, non riesce a prendere sonno se non sta insieme al suo piranha”, spiegò l’uomo. Poi si sconquassò in una risata cavernosa.
Giunto al centro del grande soggiorno, Abies si fermò a raccogliere un sasso dal pavimento. Ondeggiando sui lunghi trampoli in carne ed ossa, si rialzò e lo gettò a terra. Gli schizzi che si sparsero ovunque rivelarono che lì sotto c’era una pozza d’acqua, celata dalla vegetazione.
I tre inviati si scambiarono un’occhiata tutt’altro che tranquillizzante.
Quando poi videro spuntare un bambino con la pelle traslucida da sotto la melma, gli ospiti rimasero bloccati ed ammutoliti. Arame, il figlio di otto anni dei Bosciarqi, era completamente bagnato e vestito di un costume striminzito. Senza salutare, si tolse alcune alghe di dosso e prese a mangiarle.
“Volete gradire?”, domandò poi agli ospiti, allungando un braccio ancora avvolte dalle piante acquatiche.
“No, no, no, no che schifezza e mai questa?”, domandò Nino ad alta voce. Poi si ricordò di essere in onda.
“Chiudi, chiudi tutto! Manda la pubblicità”, ordinò al cameraman, ormai certo di aver rovinato il servizio.
“Cosa succede?”
Arame non riusciva a capire a cosa fosse dovuto tutto quel nervosismo.
“Calma, calma, portiamo a termine questo speciale”, disse Nino, respirando profondamente. “Accendi di nuovo la telecamera”
“Tre, due, uno. Sei in onda”.
“Ciao Arame, siamo di TeleNatura e i nostri telespettatori vogliono conoscere la tua straordinaria famiglia. E’ bello sapere che ci sono persone come voi che vivono a stretto contatto con la natura e che non sono inquinate dalla modernità imperante. Come si svolge la tua giornata tipo?”.
Il giornalista sembrava aver ripreso padronanza delle proprie azioni.
“Be’, quando torno da scuola mi rilasso nello stagno in compagnia di Sdento, il mio piranha”, spiegò il ragazzino mentre i tre operatori ebbero un nuovo moto di sconcerto. “Poi però quando mi sveglio mi viene una gran fame. A proposito, volete favorire?”, ci riprovò Arame, porgendo un’alga a Nino.
Il primo piano rivelò che la mano del ragazzino era palmata. Una spessa membrana di pelle univa lo spazio tra un dito e l’altro.
“Ma…cosa sei?”
Il microfonista arretrò e cadde a terra, spezzando in due l’asta del microfono.
“No! La giraffa!”, gridò il cameraman.
La telecamera inquadrò il viso sconvolto di Nino che guardava verso un punto idefinito. La bocca del giovane era aperta ma non usciva alcun suono.
“Che c’è?”, gli chiese il collega.
Con un dito, l’inviato indicò a Dodo un punto alle sue spalle.
L’inquadratura si spostò quindi di centottanta gradi dove una giraffa in carne ed ossa incombeva sul povero microfonista, leccandogli la testa con la lunga lingua verde.
“Carissimi telespettatori”, riprese la parola Nino ormai in evidente crisi di nervi,
“interrompiamo qui lo speciale di oggi. Andrà ora in onda, fuori programma, il documentario “Paradisi sommersi”. Buona visione”.
“Ma come?” si udì la voce di Amaranda, fuori campo. “Non avete ancora incontrato Ruzzola, la puzzola di Agata e nemmeno le mie favolose api”.
“Dove andate? Anche Sdento vuole essere ripreso”, le fece eco Arame.
La telecamera si oscurò e i tre operatori si scapicollarono fuori da casa Bosciarqi, lasciando interdetti i padroni di casa.
“Certa gente non la capisco proprio. Prima chiamano la giraffa poi quando arriva, se la danno a gambe” si meravigliò Abies senza tuttavia scomporsi minimamente.
“Non preoccuparti caro, il mondo è pieno di gente strana”, gli rispose la moglie.

FINE EPISODIO
UNO