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lunedì 10 ottobre 2016

SPECIALE A CASA BOSCIARQI

murodilibri@libero.it

Di
Lorenzo Bosi

“Tre, due, uno. Sei in onda!”
sullo schermo apparve il volto sorridente di Nino, armato di un microfono nero.
“Carissimi telespettatori di TeleNatura, per il nostro speciale di oggi siamo arrivati fino a Freudaccio e, in questo preciso istante, ci troviamo davanti alla dimora dei Bosciarqi. Una famiglia che ha fatto del rispetto della natura la propria ragione di vita”.
Il giornalista era di qualche anno sotto la trentina, aveva occhi vispi e capelli neri. L’inquadratura passò quindi ad una cancellata avvolta dalla vegetazione. Al di là di essa s’innalzava un ammasso di erbacce, alberi e frasche dalle dimensioni di un palazzo.
“Proprio così”, proseguì la voce fuoricampo del cronista. “Sotto questa montagna di erba c’è la loro casa ed ora seguitemi, incontreremo i componenti della famiglia”.
Detto questo, il ragazzo aprì il cancello e, seguito dal cameraman e dal tecnico del suono, si addentrò in un tunnel di sterpaglie.
Sembrava una giungla vera e propria. Decine e decine di liane ciondolavano dall’alto e le orecchie dei tre operatori erano allietate dal piacevole cinguettio di uccellini che svolazzavano piacevolmente da un ramo all’altro. Dopo qualche metro, giunsero ad una strettoia che sembrava l’ingresso di una grotta.
“Che dire, la famiglia Bosciarqi vive letteralmente a contatto con la natura”, tornò a dire Nino. “Questa dovrebbe essere l’entrata. Venite con me”, disse ammiccando alla telecamera.
“Superato l’ingresso, entreremo nel salone dove ci aspettano i padroni di casa. Ora…”, s’interruppe e guardò verso il basso.
Uno strano ammasso di foglie e ramoscelli, spuntato da chissà dove gli era andato a cozzare contro le gambe.
“Che diavolo è?”, gridò Lollo, il tecnico. Un ragazzone alto e grosso e con la faccia da bamboccione.
“Niente di grave, amici”. Il giornalista riprese in mano la situazione. “Si tratta di un semplice cespuglio…un po’ vivace, forse” e deglutì rumorosamente.
“Dodo”, proseguì con un sorriso di circostanza, “inquadra verso il basso”
In effetti l’Eucalipto era vivo, animato. Non si trattava di una pianta qualunque, il piccolo cespuglio ovale muoveva i ramoscelli come fossero piccole braccia.
“Presto scopriremo chi c’è lì sotto”. Nino tentò di giustificare l’inusuale creatura.
“Liptolo, Liptolo, non disturbare i nostri ospiti!”
Poco dopo apparve la proprietaria della voce gracchiante che aveva parlato o meglio cantilenato quella frase.
La telecamera inquadrò Amaranda Bossarki. Una donna sulla quarantina. A dire il vero più che di un essere umano, aveva l’aspetto di un profiterol ambulante, ricoperto di una glassa multicolore. Alta circa centocinquanta centimetri per altrettanti chilogrammi di peso, la padrona di casa era un inno alla stravaganza. I capelli giallo ocra erano cortissimi e circondati da una corona di fiori finti. L’abito elasticizzato color fucsia e verde ridicolizzava ulteriormente le sue abbondanti rotondità e gli occhi piccolissimi, praticamente due minuscole fessure, faticavano ad aprirsi dietro le grosse guance. La bocca era un taglio orizzontale sotto al naso a patata. Per concludere, Amaranda aveva la pelle bianchissima con sgradevoli escrescenze rossastre.
“Venite avanti, mio marito e i ragazzi sono in soggiorno”, cantilenò la bizzarra signora prima di ingurgitare una capiente ciotola di miele. “E’ ottimo! I quattro alveari che tengo in camera da letto mi forniscono questo meraviglioso nettare”.
“Tiene gli alveari in camera da letto?”, domandò Nino, sconcertato.
“Certo, le mie apine mi tengono tanta compagnia. Dopo ve le farò conoscere, ne saranno felici”.
“Le api?”
“Certo, stavo parlando di loro”.
Amaranda guardò dentro la telecamera e fece un sorriso smagliante.
“Forza Liptolo, andiamo in soggiorno”, aggiunse, rivolgendosi al cespuglio che subito iniziò a zampettare.
“Ma si muove da solo? Insomma, è vivo o c’è qualcuno sotto?”, domandò il giornalista mentre seguiva la strana coppia.
“Qualcuno sotto? Che domanda ridicola”.
La signora Bosciarqi rise a squarciagola.
Superato il tunnel, o meglio, oltrepassato il corridoio, la troupe entrò in un ambiente straordinariamente ampio di forma indefinibile e illuminato da quattro aperture rotonde. A questo punto, la telecamera indugiò sulla vegetazione incolta che avvolgeva ogni cosa. Pareti, soffitto e pavimento erano completamente ricoperti da uno spesso strato di verde e, anche qui, ciondolavano liane e sterpaglie sulle quali giocherellavano frotte di animali di ogni razza. C’erano uccelli, roditori, gatti, cani, piccoli rettili e insetti che vivevano tra quelle singolari mura domestiche.
Tenendo il cespuglio ambulante per un rametto, Amaranda raggiunse una roccia levigata adagiata sul pavimento d’erba e si accomodò tra le due persone che erano già sedute.
Sulla sinistra del teleschermo stava il signor Bosciarqi. L’uomo, all’incirca della medesima età della moglie, era alto e secco all’inverosimile. Era addirittura sproporzionato tanto che la giacca nera, perfettamente in misure sulle spalle, aveva le maniche che gli arrivavano ai gomiti, l’avambraccio restava scoperto e terminava con la mano, grande come una pala. Stessa cosa per i pantaloni grigi che gli coprivano a malapena le ginocchia ossute.
Il viso era scarno, gli occhi grandi erano marroni e le lunghe ciglia, finivano con un ricciolo. Anche le sopracciglia erano super sviluppate, talmente rigogliose da sembrare posticce.
“Benarrivati, vi stavamo aspettando”.
Abies salutò i nuovi arrivati mantenendo un’espressione ebete in volto.
“Sai caro, il ragazzo mi ha chiesto se sotto Liptolo c’è nascosto qualcuno”, intervenne la moglie, sorridendo divertita.
“Non capisco, chi dovrebbe esserci?”
“No, no signor…Bosciarqi, è una cosa…normalissima”, balbettò Nino, non più tanto convinto che lo speciale in quella gabbia di matti fosse stata una buona idea.  
“Siamo felici di avervi qui”.
Probabilmente era stata la figlia a parlare o, per lo meno, era stata l’unica ad aver mosso le labbra, anche se in modo appena percettibile.
Alaja Bossarki, alla destra del teleschermo, era la tristezza fatta a persona. La pelle, i capelli –  se quella calotta cinerea che aveva sulla testa erano i suoi capelli  – le labbra, gli occhi, tutto era grigio, di diverse tonalità ma pur sempre grigio era. Una Pinocchio di pietra. Almeno il vestito era di un più allegro color verde.
“Bene, se non sbaglio tu sei Alaja, la naturalista più intransigente della famiglia”, riprese la parola Nino mentre il microfono a giraffa raggiungeva la ragazzina.
“Sì, io non riuscirei mai a sopportare che una creatura, animale o vegetale che sia, possa soffrire a causa mia”, spiegò la bimba di dieci anni, con gli occhi fissi sulla camera come se volesse ipnotizzare i telespettatori. “E’ per questo che mi nutro solo ed esclusivamente di pietre”.
“Cos’è che mangi?”, domandò Nino, strabuzzando gli occhi. Era certo che Alaja lo stesse prendendo in giro.
“Pietre”, ribadì lei come se si trattasse della cosa più naturale del mondo. Poi ne estrasse una dalla tasca. “Da piccola ho iniziato a mangiare la sabbia poi sono passata alla ghiaia ed ora sono in grado di sbriciolare qualsiasi tipo di roccia”.
E per dimostrare ciò che aveva appena detto, azzannò il sasso e lo spezzò.
“Po…po…posso vedere?”, balbettò Nino, prendendo in mano lo spuntino della bambina. Lo esaminò alcuni istanti poi lo mise a favore di telecamera.
“Non ho parole. Si tratta di una pietra autentica”, commentò il ragazzo mal celando il forte imbarazzo.
“Alaja devi dire tutta la verità, altrimenti la gente penserà che sei una ragazza strana”, intervenne la voce cantilenante di Amaranda. “Mia figlia non mangia solo pietre, integra la sua alimentazione con del terriccio nutriente, altrimenti mica avrebbe la pelle così vellutata”, concluse, sorridendo.
“Ce… certamente, che altro se non del buon terriccio?”, ripeté il giornalista. Poi si schiarì la voce e cercò di portare avanti la più strampalata intervista della sua carriera. “Ma non dovrebbe esserci un altro componente della famiglia?
“Sì, un attimo che chiamo Arame. Sapete, nostro figlio sta schiacciando un pisolino nello stagno. Ora lo sveglio”, rispose Abies che faticò a sollevarsi sulle lunghe gambe traballanti.
Il cameraman e il tecnico del microfono seguirono gli spostamenti dello spilungone.
“Ha detto che suo figlio dorme nello stagno?”, domandò Nino sempre più incredulo.
“Sì, non riesce a prendere sonno se non sta insieme al suo piranha”, spiegò l’uomo. Poi si sconquassò in una risata cavernosa.
Giunto al centro del grande soggiorno, Abies si fermò a raccogliere un sasso dal pavimento. Ondeggiando sui lunghi trampoli in carne ed ossa, si rialzò e lo gettò a terra. Gli schizzi che si sparsero ovunque rivelarono che lì sotto c’era una pozza d’acqua, celata dalla vegetazione.
I tre inviati si scambiarono un’occhiata tutt’altro che tranquillizzante.
Quando poi videro spuntare un bambino con la pelle traslucida da sotto la melma, gli ospiti rimasero bloccati ed ammutoliti. Arame, il figlio di otto anni dei Bosciarqi, era completamente bagnato e vestito di un costume striminzito. Senza salutare, si tolse alcune alghe di dosso e prese a mangiarle.
“Volete gradire?”, domandò poi agli ospiti, allungando un braccio ancora avvolte dalle piante acquatiche.
“No, no, no, no che schifezza e mai questa?”, domandò Nino ad alta voce. Poi si ricordò di essere in onda.
“Chiudi, chiudi tutto! Manda la pubblicità”, ordinò al cameraman, ormai certo di aver rovinato il servizio.
“Cosa succede?”
Arame non riusciva a capire a cosa fosse dovuto tutto quel nervosismo.
“Calma, calma, portiamo a termine questo speciale”, disse Nino, respirando profondamente. “Accendi di nuovo la telecamera”
“Tre, due, uno. Sei in onda”.
“Ciao Arame, siamo di TeleNatura e i nostri telespettatori vogliono conoscere la tua straordinaria famiglia. E’ bello sapere che ci sono persone come voi che vivono a stretto contatto con la natura e che non sono inquinate dalla modernità imperante. Come si svolge la tua giornata tipo?”.
Il giornalista sembrava aver ripreso padronanza delle proprie azioni.
“Be’, quando torno da scuola mi rilasso nello stagno in compagnia di Sdento, il mio piranha”, spiegò il ragazzino mentre i tre operatori ebbero un nuovo moto di sconcerto. “Poi però quando mi sveglio mi viene una gran fame. A proposito, volete favorire?”, ci riprovò Arame, porgendo un’alga a Nino.
Il primo piano rivelò che la mano del ragazzino era palmata. Una spessa membrana di pelle univa lo spazio tra un dito e l’altro.
“Ma…cosa sei?”
Il microfonista arretrò e cadde a terra, spezzando in due l’asta del microfono.
“No! La giraffa!”, gridò il cameraman.
La telecamera inquadrò il viso sconvolto di Nino che guardava verso un punto idefinito. La bocca del giovane era aperta ma non usciva alcun suono.
“Che c’è?”, gli chiese il collega.
Con un dito, l’inviato indicò a Dodo un punto alle sue spalle.
L’inquadratura si spostò quindi di centottanta gradi dove una giraffa in carne ed ossa incombeva sul povero microfonista, leccandogli la testa con la lunga lingua verde.
“Carissimi telespettatori”, riprese la parola Nino ormai in evidente crisi di nervi,
“interrompiamo qui lo speciale di oggi. Andrà ora in onda, fuori programma, il documentario “Paradisi sommersi”. Buona visione”.
“Ma come?” si udì la voce di Amaranda, fuori campo. “Non avete ancora incontrato Ruzzola, la puzzola di Agata e nemmeno le mie favolose api”.
“Dove andate? Anche Sdento vuole essere ripreso”, le fece eco Arame.
La telecamera si oscurò e i tre operatori si scapicollarono fuori da casa Bosciarqi, lasciando interdetti i padroni di casa.
“Certa gente non la capisco proprio. Prima chiamano la giraffa poi quando arriva, se la danno a gambe” si meravigliò Abies senza tuttavia scomporsi minimamente.
“Non preoccuparti caro, il mondo è pieno di gente strana”, gli rispose la moglie.

FINE EPISODIO
UNO


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