Di
Lorenzo
Bosi
“Tre,
due, uno. Sei in onda!”
sullo
schermo apparve il volto sorridente di Nino, armato di un microfono nero.
“Carissimi
telespettatori di TeleNatura, per il nostro speciale di oggi siamo arrivati
fino a Freudaccio e, in questo preciso istante, ci troviamo davanti alla dimora
dei Bosciarqi. Una famiglia che ha fatto del rispetto della natura la propria
ragione di vita”.
Il
giornalista era di qualche anno sotto la trentina, aveva occhi vispi e capelli
neri. L’inquadratura passò quindi ad una cancellata avvolta dalla
vegetazione. Al di là di essa s’innalzava un ammasso di erbacce, alberi e
frasche dalle dimensioni di un palazzo.
“Proprio
così”, proseguì la voce fuoricampo del cronista. “Sotto questa montagna di erba c’è la
loro casa ed ora seguitemi, incontreremo i componenti della famiglia”.
Detto
questo, il ragazzo aprì il cancello e, seguito dal cameraman e dal tecnico del
suono, si addentrò in un tunnel di sterpaglie.
Sembrava
una giungla vera e propria. Decine e decine di liane ciondolavano dall’alto e
le orecchie dei tre operatori erano allietate dal piacevole cinguettio di
uccellini che svolazzavano piacevolmente da un ramo all’altro. Dopo qualche
metro, giunsero ad una strettoia che sembrava l’ingresso di una grotta.
“Che
dire, la famiglia Bosciarqi vive letteralmente a contatto con la natura”, tornò
a dire Nino. “Questa dovrebbe essere l’entrata. Venite con me”, disse
ammiccando alla telecamera.
“Superato
l’ingresso, entreremo nel salone dove ci aspettano i padroni di casa. Ora…”,
s’interruppe e guardò verso il basso.
Uno
strano ammasso di foglie e ramoscelli, spuntato da chissà dove gli era andato a
cozzare contro le gambe.
“Che
diavolo è?”, gridò Lollo, il tecnico. Un ragazzone alto e grosso e con la faccia
da bamboccione.
“Niente
di grave, amici”. Il giornalista riprese in mano la situazione. “Si tratta di
un semplice cespuglio…un po’ vivace, forse” e deglutì rumorosamente.
“Dodo”,
proseguì con un sorriso di circostanza, “inquadra verso il basso”
In
effetti l’Eucalipto era vivo, animato. Non si trattava di una pianta qualunque,
il piccolo cespuglio ovale muoveva i ramoscelli come fossero piccole braccia.
“Presto
scopriremo chi c’è lì sotto”. Nino tentò di giustificare l’inusuale creatura.
“Liptolo,
Liptolo, non disturbare i nostri ospiti!”
Poco
dopo apparve la proprietaria della voce gracchiante che aveva parlato o meglio
cantilenato quella frase.
La
telecamera inquadrò Amaranda Bossarki. Una donna sulla quarantina. A dire il
vero più che di un essere umano, aveva l’aspetto di un profiterol ambulante,
ricoperto di una glassa multicolore. Alta circa centocinquanta centimetri per
altrettanti chilogrammi di peso, la padrona di casa era un inno alla
stravaganza. I capelli giallo ocra erano cortissimi e circondati da una corona
di fiori finti. L’abito elasticizzato color fucsia e verde ridicolizzava
ulteriormente le sue abbondanti rotondità e gli occhi piccolissimi,
praticamente due minuscole fessure, faticavano ad aprirsi dietro le grosse
guance. La bocca era un taglio orizzontale sotto al naso a patata. Per
concludere, Amaranda aveva la pelle bianchissima con sgradevoli escrescenze
rossastre.
“Venite
avanti, mio marito e i ragazzi sono in soggiorno”, cantilenò la bizzarra
signora prima di ingurgitare una capiente ciotola di miele. “E’ ottimo! I
quattro alveari che tengo in camera da letto mi forniscono questo meraviglioso
nettare”.
“Tiene
gli alveari in camera da letto?”, domandò Nino, sconcertato.
“Certo,
le mie apine mi tengono tanta compagnia. Dopo ve le farò conoscere, ne saranno
felici”.
“Le
api?”
“Certo,
stavo parlando di loro”.
Amaranda
guardò dentro la telecamera e fece un sorriso smagliante.
“Forza
Liptolo, andiamo in soggiorno”, aggiunse, rivolgendosi al cespuglio che subito
iniziò a zampettare.
“Ma
si muove da solo? Insomma, è vivo o c’è qualcuno sotto?”, domandò il
giornalista mentre seguiva la strana coppia.
“Qualcuno
sotto? Che domanda ridicola”.
La
signora Bosciarqi rise a squarciagola.
Superato
il tunnel, o meglio, oltrepassato il corridoio, la troupe entrò in un ambiente
straordinariamente ampio di forma indefinibile e illuminato da quattro aperture
rotonde. A questo punto, la telecamera indugiò sulla vegetazione incolta che
avvolgeva ogni cosa. Pareti, soffitto e pavimento erano completamente ricoperti
da uno spesso strato di verde e, anche qui, ciondolavano liane e sterpaglie
sulle quali giocherellavano frotte di animali di ogni razza. C’erano uccelli,
roditori, gatti, cani, piccoli rettili e insetti che vivevano tra quelle
singolari mura domestiche.
Tenendo
il cespuglio ambulante per un rametto, Amaranda raggiunse una roccia levigata adagiata
sul pavimento d’erba e si accomodò tra le due persone che erano già sedute.
Sulla
sinistra del teleschermo stava il signor Bosciarqi. L’uomo, all’incirca della
medesima età della moglie, era alto e secco all’inverosimile. Era addirittura
sproporzionato tanto che la giacca nera, perfettamente in misure sulle spalle,
aveva le maniche che gli arrivavano ai gomiti, l’avambraccio restava scoperto e
terminava con la mano, grande come una pala. Stessa cosa per i pantaloni grigi
che gli coprivano a malapena le ginocchia ossute.
Il
viso era scarno, gli occhi grandi erano marroni e le lunghe ciglia, finivano
con un ricciolo. Anche le sopracciglia erano super sviluppate, talmente
rigogliose da sembrare posticce.
“Benarrivati,
vi stavamo aspettando”.
Abies
salutò i nuovi arrivati mantenendo un’espressione ebete in volto.
“Sai
caro, il ragazzo mi ha chiesto se sotto Liptolo c’è nascosto qualcuno”,
intervenne la moglie, sorridendo divertita.
“Non
capisco, chi dovrebbe esserci?”
“No,
no signor…Bosciarqi, è una cosa…normalissima”, balbettò Nino, non più tanto
convinto che lo speciale in quella gabbia di matti fosse stata una buona idea.
“Siamo
felici di avervi qui”.
Probabilmente
era stata la figlia a parlare o, per lo meno, era stata l’unica ad aver mosso
le labbra, anche se in modo appena percettibile.
Alaja
Bossarki, alla destra del teleschermo, era la tristezza fatta a persona. La
pelle, i capelli – se quella calotta cinerea
che aveva sulla testa erano i suoi capelli – le labbra, gli occhi, tutto era grigio, di
diverse tonalità ma pur sempre grigio era. Una Pinocchio di pietra. Almeno il
vestito era di un più allegro color verde.
“Bene,
se non sbaglio tu sei Alaja, la naturalista più intransigente della famiglia”,
riprese la parola Nino mentre il microfono a giraffa raggiungeva la ragazzina.
“Sì,
io non riuscirei mai a sopportare che una creatura, animale o vegetale che sia,
possa soffrire a causa mia”, spiegò la bimba di dieci anni, con gli occhi fissi
sulla camera come se volesse ipnotizzare i telespettatori. “E’ per questo che
mi nutro solo ed esclusivamente di pietre”.
“Cos’è
che mangi?”, domandò Nino, strabuzzando gli occhi. Era certo che Alaja lo
stesse prendendo in giro.
“Pietre”,
ribadì lei come se si trattasse della cosa più naturale del mondo. Poi ne
estrasse una dalla tasca. “Da piccola ho iniziato a mangiare la sabbia poi sono
passata alla ghiaia ed ora sono in grado di sbriciolare qualsiasi tipo di
roccia”.
E
per dimostrare ciò che aveva appena detto, azzannò il sasso e lo spezzò.
“Po…po…posso
vedere?”, balbettò Nino, prendendo in mano lo spuntino della bambina. Lo
esaminò alcuni istanti poi lo mise a favore di telecamera.
“Non
ho parole. Si tratta di una pietra autentica”, commentò il ragazzo mal celando
il forte imbarazzo.
“Alaja
devi dire tutta la verità, altrimenti la gente penserà che sei una ragazza
strana”, intervenne la voce cantilenante di Amaranda. “Mia figlia non mangia
solo pietre, integra la sua alimentazione con del terriccio nutriente,
altrimenti mica avrebbe la pelle così vellutata”, concluse, sorridendo.
“Ce…
certamente, che altro se non del buon terriccio?”, ripeté il giornalista. Poi
si schiarì la voce e cercò di portare avanti la più strampalata intervista
della sua carriera. “Ma non dovrebbe esserci un altro componente della
famiglia?
“Sì,
un attimo che chiamo Arame. Sapete, nostro figlio sta schiacciando un pisolino
nello stagno. Ora lo sveglio”, rispose Abies che faticò a sollevarsi sulle
lunghe gambe traballanti.
Il
cameraman e il tecnico del microfono seguirono gli spostamenti dello spilungone.
“Ha
detto che suo figlio dorme nello stagno?”, domandò Nino sempre più incredulo.
“Sì,
non riesce a prendere sonno se non sta insieme al suo piranha”, spiegò l’uomo.
Poi si sconquassò in una risata cavernosa.
Giunto
al centro del grande soggiorno, Abies si fermò a raccogliere un sasso dal
pavimento. Ondeggiando sui lunghi trampoli in carne ed ossa, si rialzò e lo
gettò a terra. Gli schizzi che si sparsero ovunque rivelarono che lì sotto
c’era una pozza d’acqua, celata dalla vegetazione.
I
tre inviati si scambiarono un’occhiata tutt’altro che tranquillizzante.
Quando
poi videro spuntare un bambino con la pelle traslucida da sotto la melma, gli
ospiti rimasero bloccati ed ammutoliti. Arame, il figlio di otto anni dei
Bosciarqi, era completamente bagnato e vestito di un costume striminzito. Senza
salutare, si tolse alcune alghe di dosso e prese a mangiarle.
“Volete
gradire?”, domandò poi agli ospiti, allungando un braccio ancora avvolte dalle
piante acquatiche.
“No,
no, no, no che schifezza e mai questa?”, domandò Nino ad alta voce. Poi si
ricordò di essere in onda.
“Chiudi,
chiudi tutto! Manda la pubblicità”, ordinò al cameraman, ormai certo di aver
rovinato il servizio.
“Cosa
succede?”
Arame
non riusciva a capire a cosa fosse dovuto tutto quel nervosismo.
“Calma,
calma, portiamo a termine questo speciale”, disse Nino, respirando
profondamente. “Accendi di nuovo la telecamera”
“Tre,
due, uno. Sei in onda”.
“Ciao
Arame, siamo di TeleNatura e i nostri telespettatori vogliono conoscere la tua
straordinaria famiglia. E’ bello sapere che ci sono persone come voi che vivono
a stretto contatto con la natura e che non sono inquinate dalla modernità
imperante. Come si svolge la tua giornata tipo?”.
Il
giornalista sembrava aver ripreso padronanza delle proprie azioni.
“Be’,
quando torno da scuola mi rilasso nello stagno in compagnia di Sdento, il mio
piranha”, spiegò il ragazzino mentre i tre operatori ebbero un nuovo moto di
sconcerto. “Poi però quando mi sveglio mi viene una gran fame. A proposito,
volete favorire?”, ci riprovò Arame, porgendo un’alga a Nino.
Il
primo piano rivelò che la mano del ragazzino era palmata. Una spessa membrana
di pelle univa lo spazio tra un dito e l’altro.
“Ma…cosa
sei?”
Il
microfonista arretrò e cadde a terra, spezzando in due l’asta del microfono.
“No!
La giraffa!”, gridò il cameraman.
La
telecamera inquadrò il viso sconvolto di Nino che guardava verso un punto idefinito.
La bocca del giovane era aperta ma non usciva alcun suono.
“Che
c’è?”, gli chiese il collega.
Con
un dito, l’inviato indicò a Dodo un punto alle sue spalle.
L’inquadratura
si spostò quindi di centottanta gradi dove una giraffa in carne ed ossa incombeva
sul povero microfonista, leccandogli la testa con la lunga lingua verde.
“Carissimi
telespettatori”, riprese la parola Nino ormai in evidente crisi di nervi,
“interrompiamo
qui lo speciale di oggi. Andrà ora in onda, fuori programma, il documentario
“Paradisi sommersi”. Buona visione”.
“Ma
come?” si udì la voce di Amaranda, fuori campo. “Non avete ancora incontrato
Ruzzola, la puzzola di Agata e nemmeno le mie favolose api”.
“Dove
andate? Anche Sdento vuole essere ripreso”, le fece eco Arame.
La
telecamera si oscurò e i tre operatori si scapicollarono fuori da casa Bosciarqi,
lasciando interdetti i padroni di casa.
“Certa
gente non la capisco proprio. Prima chiamano la giraffa poi quando arriva, se
la danno a gambe” si meravigliò Abies senza tuttavia scomporsi minimamente.
“Non
preoccuparti caro, il mondo è pieno di gente strana”, gli rispose la moglie.
FINE
EPISODIO
UNO
Nessun commento:
Posta un commento