Visualizzazioni totali

lunedì 17 ottobre 2016

LA NUOVA MAESTRA


Di
Lorenzo Bosi

La nuova maestra di Alaja, stava raggiungendo casa Bosciarqi.
“Forza! Non avrete mica paura della vostra compagna di classe?”, domandò secca ai due bimbi che stava trascinando con sé.
La donna, coi capelli corvini raccolti sulla nuca e con un paio di occhiali dalla montatura rettangolare, appoggiati sulla punta del naso, era stata appena assegnata alla scuola di Freudaccio.
Amedea non tollerava i soprusi e i due grossi lividi che l’alunna aveva lasciato sui visi di Marco e Stefano erano un motivo più che sufficiente per richiedere provvedimenti ai genitori della bimba.
“Voglio fare chiarezza su questa situazione. Non sopporto che ci si picchi nella mia classe”, continuò a sbraitare la maestra. “Quella bambina deve cambiare. Chiederò ai signori Bosciarqi di darle una bella lezione. Picchiare due compagni di classe è una cosa inaudita!”
Il terzetto uscì dalla cittadina, svoltò a destra e proseguì per il sentiero che serpeggiava sulla collinetta.
“Qua non vedo nessuna casa. Dove vive Ajala?”, domandò Amedea, stizzita.
Marco allungò un braccio ed indicò un punto poco più avanti.
“Abita lì”.
Gli occhi della donna, stretti come fessure, incontrarono un semplice, grosso ammasso di sterpaglie.
“Che scherzi sono questi? Vuoi prendermi in giro?”
I due bimbi negarono col capo, poi le indicarono la cancellata, anch’essa avvolta da folte piante rampicanti.
La maestra rallentò l’andatura.
Inorridita, proseguì comunque fino al cancello aperto. Le mani della donna si strinsero ancora di più a quelle dei bimbi.
“Ahia”, si lamentarono.
Lei non rispose.
“Le abbiamo detto che è una famiglia strana”, precisò Stefano.
Amedea deglutì rumorosamente. Era esterrefatta, tuttavia cercò di mantenere un atteggiamento risoluto.
Avrei fatto meglio ad ascoltare i bambini e il preside”, riproverò mentalmente a sé stessa. “Dovevo convocare i genitori a scuola”.
Ma non voleva cedere.
Avanzarono oltre la cancellata. Ad ogni passo, tutti e tre avevano l’impressione che  i fili d'erba si muovessero come tanti serpentelli…un momento!
Qualcosa si stava davvero attorcigliando alla caviglia di Amedea.
“AHHHH”, gridò. Istintivamente anche i bimbi fecero lo stesso.
Una biscia!!
“Cosa sta succedendo?”
I tre sollevarono lo sguardo.
L’urlo aumentò d’intensità.
Un bimbo, completamente bagnato, con la pelle bianca come il latte e gli occhi color ghiaccio, era apparso dal nulla.
“Ci…ciao…A…Arame”, balbettò Marco.
“Cosa ci fate qui?”, rispose il bambino di otto anni, squadrando i nuovi arrivati con sguardo severo. “Stavo giocando nella palude col mio piranha e ho sentito degli urli. Mi avete spaventato”.
“Ti sei spaventato, tu?”, sbottò la donna. “Toglimi questa bestia di dosso!”
Amedea sollevò la gamba imprigionata dalla biscia e la scosse ripetutamente.
Arame sbuffò. Poi però si avvicinò e allungò la mano verso l’animaletto.
“Che roba è? Cosa sei?”, sbraitò la maestra. Aveva notato le dita palmate e dovette tenersi stretta alle spalle di Stefano per non svenire.
“Non capisco cosa ci sia da gridare tanto”.
Il bimbo liberò la piccola biscia tra l’erba poi tornò a rivolgersi agli ospiti. “Se dovete parlare coi miei genitori, seguitemi”, tirò ad indovinare.
Il gruppetto giunse ad una porta sgangherata. Arame la aprì ed uno sciame di mosche e moscerini sbatté contro gli ospiti.
Sputacchiarono.
“Volete entrare o no?”, domandò il giovane Bosciarqi, vedendo i tre nuovi arrivati ancora fermi al di là della soglia. Poi si voltò, senza attendere risposta e proseguì.
Lo seguirono all’interno di quella che sembrava una grotta. Erba dappertutto e, dal soffitto, scendevano numerose liane.
L’antro, piuttosto stretto, sbucò in un ambiente molto più ampio.
“Arame, hai portato ospiti?”
Maestra e alunni rimasero a bocca aperta, ancora una volta. Un uomo, alto e secco come un attaccapanni era aggrappato al collo di una giraffa.
“Scusatemi, stavo facendo uno spuntino di foglie d’acacia”, annunciò l’uomo, scivolando giù e saltando agilmente sullo strato d’erba che ricopriva il pavimento.
L’animale invece proseguì a mangiare dai sacchi appesi al lampadario, infischiandosene totalmente dei nuovi arrivati.
Lo strano individuo strinse la mano ad Amedea. Lei lo osservò in silenzio, incapace di parlare. “Sono il signor Bosciarchi, Abien Bosciarqi. Con chi ho il piacere di parlare?”
In poco tempo, la donna riconquistò l’abituale contegno.
“Sono la nuova maestra di Alaja. Mi chiamo Amedea e dovrei assolutamente parlare con voi. Voglio dire, ho bisogno di incontrare ai genitori dell’alunna. La madre è in casa?”
“Io me ne vado”, intervenne Arame.
Il bambino fece alcuni passi prima di scomparire in un rumoroso sciabordio.
Amedea scattò.
“Dov’è andato? E’ caduto?”
“Non si preoccupi, signora Amedea…”
“Signorina”, lo corresse lei.
“Signorina Amedea…si è immerso nel suo laghetto domestico”, spiegò il padrone di casa. “Sedetevi pure, vado a chiamare mia moglie e Alaja”.
Quando l’uomo uscì dalla stanza, gli ospiti si guardarono intorno. Ovunque c’erano erbacce, frasche e rovi. Sulle liane che penzolavano per tutta la sala, svolazzavano numerosi volatili che defecavano liberamente a terra. Schifati, preferirono rimanere in piedi.
Poco dopo, Abien rientrò, accompagnato dalla giovane Ajala e da una donna che assomigliava più ad fagotto colorato che ad un essere umano.
“Piacere signorina Amedea, sono Amaranda Bosciarqi. Sono molto felice che sia venuta a fare la nostra conoscenza. Saluta la maestra, cara”, concluse, rivolgendosi alla figlia.
“Buonasera signorina”, ubbidì Alaja.
“Sediamoci”, li invitò la donna.
La maestra si aggiustò gli occhiali per vedere meglio il vestito di Amaranda. Ebbe comunque difficoltà a credere ai suoi occhi. Sulla stoffa gialla vi erano applicati dei vasetti rossi con dei fiori veri all’interno ma, soprattutto, vide numerose api ronzare su di essi per nutrirsi.
“Caro, porta fuori Malassa. Credo che abbia mangiato abbastanza per oggi”.
“Hai ragione, batuffolino”, concordò il marito che, come fosse una scimmia scheletrica, si arrampicò sul dorso della giraffa e la condusse fuori, cavalcandola.
“Bene, sediamoci qui”.
Mamma e figlia spostarono la vegetazione che ricopriva alcune pietre disposte in cerchio. Poi, con un gesto del braccio, Amaranda invitò gli ospiti a sedersi.
“Volete qualcosa da bere?”, chiese Alaja, con voce monotono.
“No, no grazie”, Amedea declinò l’offerta. “Piuttosto hai parlato a tua madre di quello che è successo stamattina a scuola?” Poi, senza attendere risposta, si rivolse alla donna. “Sono venuta qui per raccontarle di un fatto increscioso”. E indicò le ammaccature sul volto dei bambini. “Questi ematomi sono opera di sua figlia perché li ha visti uccidere due lombrichi”.
“Sì, nostra figlia ci ha raccontato tutto, poveri! Sono inorridita!”, commentò Amaranda, portandosi una mano alla bocca. “Bisogna prendere subito dei provvedimenti!”
“E’ proprio per questa ragione che sono venuta qui”.
“Ha fatto benissimo. Bisogna essere incisivi senza tuttavia essere troppo severi. Certi atteggiamenti non si devono mantenere”.
“Vedo che la pensiamo allo stesso modo”, concordò la maestra.
“Sono sicura che siate due bambini dolcissimi, tutti i bambini lo sono. Venite con me, state tranquilli, piccoli cari”.
Gli alunni si guardarono con occhi interrogativi. Poi rivolsero lo stesso sguardo alla maestra.
La donna non capì la ragione di quell’invito ma, allo stesso tempo, non ci vide nulla di male.
“Andate pure. Ora abbiamo chiarito tutto e certe cose non succederanno più”, sorrise Amedea.
Marco e Stefano si alzarono titubanti e seguirono la signora Bosciarqi, cercando di evitare le api che ronzavano sui fiori.
“Ora mi sento più sollevata”, commentò la maestra, rimasta sola con Ajala.
La bambina non rispose.
Poi un fruscio attirò l’attenzione di entrambe. Le frasche che ricoprivano il pavimento iniziarono a muoversi visibilmente.
Amedea scattò.
“Cosa sta succedendo?”, domandò allarmata.
“Niente”, rispose la bambina. “E’ solo Frulla, la mia puzzola, che sta arrivando”.
“La tua cosa???”, si scandalizzò, la donna.
A risponderle fu il musetto della bestiola che fece capolino dallo strato erboso.
La maestra gridò e saltò in piedi sulla roccia.
“Tieni quel mostro lontano da me!”
La bambina prese la bestiola tra le braccia e sorrise, senza considerare gli starnazzi della maestra.
“Ecco qua i nostri bimbi! Dopo un paio di ore in questa posizione non uccideranno più nessun animaletto indifeso”.
Amedea spostò gli occhi terrorizzati dalla puzzola alla voce che aveva parlato.
Un nuovo grido della donna echeggiò nell’aria.
Marco e Stefano erano appesi a testa in giù. Amaranda trascinava, sulle quattro ruote,  una struttura in legno dalla quale penzolavano i due bimbi che sbrativano come ossessi.
“No, no, no”, strillò la maestra, in preda ad una crisi di nervi. “Non dovevate! Non dovevate!”
“Signorina Amedea, non sia troppo severa con loro. Questa piccola punizione sarà più che sufficiente per farli smettere”, spiegò la signora Bosciarqi con la massima tranquillità.
“Ma cosa dice? Lei è matta! Voi siete tutti matti”.
La maestra iniziò a saltellare sulla pietra come una palla matta.
La puzzola si spaventò e, dapprima, mostrò i denti affilati alla donna poi però si girò su sé stessa e sparò la sua secrezione maleodorante contro l’ospite esagitata.
Amedea cadde a terra per il puzzo.
Il fetore disorientò pure le api che si allontanarono dai fiori e presero a ronzare per tutta la stanza come proiettili vaganti.
La maestra si sollevò a fatica ma, una volta in piedi, scapicollò fuori di casa ad una velocità tale da umiliare le prestazioni di un atleta olimpionico.

“Com’è andata a scuola?”, domandò Amaranda alla figlia, appena rientrata da scuola.
“Bene mamma ma la signorina Amedea non c’è più. E’ stata trasferita”.
La donna smise di annaffiare l’erba del pavimento e guardò il marito che stava brucando sulla giraffa.
“Che strano, mia cara”, disse lui, “mi sembrava una brava insegnante, vicina alla natura, proprio come noi”.
“E’ vero. Forse era un po’ troppo nervosa”, concluse la donna e riprese il lavoro che aveva momentaneamente interrotto.

FINE
SECONDO EPISODIO


 murodilibri@libero.it murodilibri@libero.it

Nessun commento:

Posta un commento